“In Palestina c’è la guerra, in Paraguay la povertà, ma in Italia c’è qualcosa di più grave: l’inerzia”. La concertista Valentina Rebaudo si racconta a Riviera24
Docente a Losanna, la giovane nata a Bordighera e vissuta a Ventimiglia ha un sogno: “Creare un festival di musica da camera a Pigna”
Valentina Rebaudo è una giovane donna che, se inizi a parlare con lei, non vorresti smettere mai. Ha una melodia nella voce e una passione per l’arte, per la cultura e per i popoli, che basta ascoltarla un minuto per capire che di una 28enne così il mondo ha bisogno.
Clarinettista e concertista, Valentina Rebaudo, nata a Bordighera e residente per tanti anni a Ventimiglia, è anche una giovane ma apprezzatissima docente a Losanna, in Svizzera, dove ricopre il ruolo di responsabile della musica alla Bilingual School of Suisse Romande.
Valentina ha lasciato presto l’Italia: subito dopo essersi diplomata al Liceo Scientifico Aprosio.
“Ho iniziato a studiare musica a nove anni”, racconta, “Prima nella banda di Pigna e Ventimiglia e poi in una scuola di Mentone. Poi ho continuato presso il conservatorio di Nizza, dove mi sono diplomata nel 2007, quando avevo 20 anni, in clarinetto e musica da camera”.
Clarinetto e pianoforte come secondo strumento: queste le materie studiate.
Due master a Losanna e poi un post-grade (una sorta di dottorato) nell’Iniziazione Musicale di Willems: metodo che si basa sullo stretto legame fra la musica e l’uomo e che prevede un’approccio alla musica già nella primissima infanzia.
Valentina parla cinque lingue: italiano, francese, inglese, arabo e un po’ di tedesco – “ma lo perdo facilmente, poi torno in Germania per lavoro e lo riprendo” – precisa. “E capisco il pignasco: la mia famiglia è di Pigna e mio padre mi ha sempre parlato in dialetto”.
E proprio a quel piccolo borgo della val Nervia, Valentina è legata a filo doppio: “E’ là che sono le mie origini, è là che torno non appena posso”.
Tornando a parlare della sua vita in Svizzera, Valentina spiega: “Sono stata nominata docente al conservatorio di Losanna nello scorso mese di maggio, dopo aver vinto un concorso. Insegno e suono secondo i contratti che mi vengono offerti, in qualità di solista o musicista da camera o ancora musicista d’orchestra nelle diverse stagioni di musica che qui, come anche in Francia e in Germania sono tante e prestigiose”.
E in Italia? “In Italia purtroppo non c’è quasi niente da questo punto di vista”. In pratica, la nostra Valentina, si esibisce ovunque fuorché in Italia.
Perché? “Non ho mai potuto, semplicemente perché non ci sono mai state le condizioni necessarie. Ho lavorato con delle orchestre in Italia… qualche piccolo contratto qua e là tra Bordighera, Sanremo e Diano Marina. Ma è stata una catastrofe. Un contratto addirittura è finito quasi alle mani tra gli orchestrali e il direttore, perché non c’erano soldi. E non è tutto: siamo arrivati in teatro e non c’erano le luci perché il tecnico non aveva capito che doveva venire. E’ un mondo parallelo, l’Italia. I piccoli contratti che ho stipulato nel mio Paese, si sono sempre rivelati un incubo, perché c’è sempre stata qualcosa che non andava. Non parlo solo da un punto di vista economico: è chiaro che i soldi non ci sono e che se ci sono vengono usati male, visto che noi musicisti non veniamo mai pagati abbastanza. Ma è proprio il contesto in sé che in Italia è sempre stato fantozziano”. Questo è il punto.
Eppure, nonostante tutto, Valentina Rebaudo non ha mai perso la speranza di tornare per portare musica nell’estremo ponente: “Ho sempre come desiderio, un giorno, quello di poter tornare. Magari quando avrò cinquanta o sessant’anni. Mi piacerebbe tornare nostra zona, a Pigna, a Ventimiglia. Ma non certo per viverci! Mi piacerebbe creare un festival di musica da camera perché i luoghi sono stupendi e si presterebbero benissimo, ma è un sogno che tengo un po’ così, nel cassetto, perché paradossalmente non mi sono mai esibita a Ventimiglia, mai nella mia terra”.
Impossibilitata ad esprimere se stessa in Italia, Valentina è un altro giovane e grande talento che il mondo ci invidia e che, scappando all’estero, è già riuscita, nonostante la giovane età, a raggiungere diversi suoi obiettivi. “Quest’anno sono riuscita a creare, per la prima volta nella mia vita, un festival di musica da camera di cui sono direttrice artistica qui in Svizzera e spero, spero un giorno, di poter fare una cosa del genere in un paesino come Pigna o anche solo nella chiesa di San Francesco a Ventimiglia. Sarebbe una cosa bellissima che attirerebbe un sacco di lavoro e di turismo per i musicisti”, racconta.
Ma la musica, per Valentina, non sono solo soddisfazioni personali. Quelle sì, vengono di conseguenza. Però lei, 28enne con grandi progetti e tanti sogni, del suo essere artista sente soprattutto il peso della responsabilità che l’essenza stessa dell’arte include: “In quanto musicista”, dichiara, “Non ho voglia solo di suonare per fare la vita che ho sempre sognato. Anche se questo, ovviamente, mi rende felice. In quanto artista ho un ruolo, una responsabilità: quella di rendere la vita, non solamente mia, ma anche quella degli altri, migliore. Ho il compito di contribuire a creare una società migliore e sento il peso di questa responsabilità”.
E allora, la giovanissima Valentina, non se ne sta di certo con le mani in tasca: Palestina, Paraguay, Messico.Là dove ci sono situazioni difficili e dolorose, lei va a portare la sua musica tra i bambini.“Sono anni che mi reco in Palestina ogni estate. Sono stata assistente al conservatorio nazionale palestinese (The Edward Said National Conservatory). Mi reco ogni anno laggiù nel mese di luglio o agosto: dipende dal ramadan. Insegno la musica ai bambini rifugiati. E’ il sogno che ho sempre avuto e quindi quando mi sono decisa ho imparato l’arabo, studiando anche 4 ore al giorno per sei mesi”.
Dopo tanta fatica, che però dalla voce allegra e soave con cui lo racconta, sembra esser stata leggera e lieve come una foglia, Valentina ha raggiunto il suo obiettivo ed è diventata assistente di iniziazione al conservatorio di Gerusalemme per i bambini dai tre ai sei anni. In Palestina, Valentina Rebaudo insegna il clarinetto, la musica d’insieme, la musica da camera, l’orchestra a fiati. E lo fa nei campi per rifugiati di Ramallah, Gerusalemme, Nablus e Gerico. “Abbiamo creato dei campus estivi per poter permettere a bambini e giovani di potersi allontanare dalla violenza e poter andare verso la musica come forma di resistenza non violenta”.
La musica come evasione e rivoluzione per creare qualcosa di più bello di quello che già c’è. La musica come strumento, potentissimo, di comunione tra i popoli.
Perché la musica – chiediamo a Valentina – che cos’è? “E’ quella cosa che può mettere delle ali al tuo pensiero”, risponde citando Platone, “E’ quella cosa che ti permette di evadere dalla realtà, grazie alla sua bellezza e a questa sensazione di essere atemporale. E allo stesso tempo è quella cosa che ti permette di evadere dalla realtà non semplicemente per il piacere di fuggire, ma per la volontà di costruire una realtà migliore. Non è una droga che ti fa andare altrove e basta. Ti permette di costruire qualcosa di solido e di migliore della realtà in cui vivi. Ed è questo, quello che sto cercando di fare in Palestina”. E non solo.
Valentina ricorda ancora, con grande gioia e riconoscenza, il giorno in cui il sanremese Gipo Anfosso l’ha invitata a Pavia per tenere una conferenza sui diritti del bambino: “Ho parlato davanti a tantissime persone della musica come forma di resistenza non violenta. E’ un tema per il quale avevo avuto la lode, nel 2013, per il mio primo master di pedagogia. Ed è un po’ tutta la mia vita, perché è esattamente quello che faccio in Palestina”.
Anche in Italia ha senso parlare di musica come resistenza? “Sì, ma è ovvio che il contesto è diverso. I ragazzi qui non devono resistere alla guerra, alla prostituzione, alla violenza. Devono resistere a qualcosa che è peggio di tutto: all’inerzia. A questa forma di inerzia che è nei giovani, che vive nei giovani, soprattutto in Italia. Perché i giovani vedono sempre più spesso – e questo è pericolosissimo e tristissimo – il loro futuro come immutabile. Non credono più nelle loro capacità individuali, non li interessa più, perché seguono un modello di società che è a senso unico, usa e getta, collettivo, che non crede più nelle capacità dei singoli. Quindi è importante che la musica, così come più in generale l’istruzione, li aiuti e permetta loro di realizzare i propri sogni: perché ne siamo tutti capaci e tutti dobbiamo avere la forza e il coraggio di poter andare avanti”.
“E’ chiaro che nei paesi come l’Italia è difficile andare avanti”, aggiunge, “Ma sono convinta che se ci fosse veramente questo fuoco che muove, che brucia, questa voglia di andare avanti e di costruire qualcosa nei giovani italiani, le cose cambierebbero”. Anche in Italia e per l’Italia.
Eppure Valentina è partita, dopo la maturità: “Potevo restare in Italia, ma sono partita perché i conservatori “superiori” qui non offrono le stesse possibilità che ci sono all’estero. Quindi se volevo specializzarmi dovevo partire per forza. Non sono tornata perché il problema è che se dovessi tornare dovrei cambiare lavoro e proprio non me la sento. Ma spero veramente di poter un giorno, nel mio piccolo, contribuire a un cambiamento”.
Così come ha fatto il suo grande mito: il violoncellista catalano Pablo Casals.
“Casals ha fatto del suo violoncello un’arma di resistenza non violenta al franchismo. Lui, che era un grandissimo violoncellista, ha deciso, da un giorno all’altro, che non avrebbe suonato più. Ha riposto il suo violoncello nella custodia e poi è andato in esilio nella Francia catalana, nella cittadina di Prades. La sua storia ha fatto clamore nel mondo della musica classica, perché era impensabile che smettesse di suonare e così tutti i più grandi musicisti del momento lo hanno raggiunto per fare musica insieme nella sua casetta e questo gesto ha mosso le coscienze”.
Grazie a Pablo Casals, fondatore di un’accademia per giovani musicisti, a Prades è nato un festival che continua ancora ai nostri giorni e porta molto turismo e lavoro a tante persone.
“Pablo Casals è colui che ha fatto della musica e del suo strumento qualcosa per cambiare la società”, spiega Valentina. Un uomo che ha usato l’arma del silenzio per farsi sentire. “La gente non ha sopportato questo silenzio. Il mondo ha bisogno di musica, ha bisogno di bellezza”.
“In Palestina cerco di cambiare le coscienze perché i bambini devono rendersi conto che le soluzioni non sono le pietre, ma è l’istruzione, il dialogo. E per poter dialogare bisogna ascoltarsi e la musica, in quanto arte dell’ascolto, è regina. E parla una lingua che possono comprendere tutti”.
Questa estate Valentina sarà coinvolta in un progetto analogo in una regione del Messico: “Solo che lì il problema non è la guerra, ma la povertà”.
Un altro luogo, in cui si è recata e con il quale continua a mantenere legami, è il Paraguay.
“Lì c’è un’orchestra riciclata”, racconta, “E’ in una zona in cui c’è la dittatura dei narcotrafficanti. Una zona devastata, dove le ragazzine sono presto avviate alla prostituzione, e i maschi alla droga. Ma la zona è soprattutto disastrata a causa della spazzatura da quando i narcotrafficanti hanno deciso di riversare, in quella regione, tutta la spazzatura del Paraguay. Ad un certo punto un uomo, Fabio Chavez (con il quale ho collaborato per un progetto in Palestina) ha deciso che proprio con quella spazzatura si sarebbe dovuto fare qualcosa di costruttivo“.
“E così”, aggiunge, con l’emozione nella voce, “I bambini sono andati a prendere la spazzatura e l’hanno riciclata per fare degli strumenti e oggi, l’Orchestra Riciclata, è una delle orchestre che ha più successo al mondo. Questo ha aiutato tantissimo il Paraguay: è stata costruita una scuola di musica, un conservatorio. E poi ha aiutato il paese anche da un punto di vista ambientale. E’ questo che intendo come musica”.
E’ questo che vorrebbe anche per l’Italia: “In Palestina c’è la guerra. In Paraguay c’è la povertà. Ma questi problemi sono più facilmente gestibili e risolvibili di quelli della nostra società europea e dell’Italia in particolare. Noi abbiamo il problema più grande di tutti: l’inerzia. E questo, per me, è ancora un mistero“.
Come poter capire i motivi per cui gli italiani vivono in questo stato di inettitudine, di inerzia, di immobilità? “C’è un termine bellissimo in francese, “gâchis“. E’ intraducibile, ma possiamo provarci con “peccato”, “spreco”. E’ come se qualcuno facesse una torta a 17 piani e poi il gatto ci mette la zampa. E’ una cosa bellissima, che ci ho messo ore per farla, ma basta un colpo di vento, una zampa del gatto e… gâchis! Che peccato! L’Italia è un paese stupendo, ha una bellezza che non è solamente dal punto di vista del paesaggio e dell’architettura. L’italiano è una persona bellissima. Siamo delle persone solari, abbiamo il sole con noi. Nonostante siano passati otto anni, la cosa che mi manca di più qui sono i supermercati, perché nei supermercati italiani c’è il sole, ci sono le cose buone da mangiare e poi anche per le strade c’è sempre l’angolo dove puoi comprare la focaccia, la pizza… E qui questo non c’è”.
“Gli italiani sono un popolo bellissimo, intelligentissimo. Non è un caso, secondo me, che i migliori musicisti, qui, siano italiani”, dice, “Siamo persone molto intelligenti, ed è qua che penso al “gâchis”: c’è la bellezza, l’intelligenza, un potenziale incredibile che viene semplicemente distrutto. Come? Non lo so, anche perché non ci vivo più, ma non capisco concretamente come sia possibile: l’italiano è questa persona assolutamente geniale, bellissima, intelligentissima, generosa, solare che, senza sapere il perché , si butta giù da solo. E’ un vero peccato, per me”.
Valentina, il suo essere italiana lo porta nel cuore e ne va fiera: “A luglio mi sposo e cambio la cittadinanza: divento svizzera. Ma so di per certo che tutta la vita, se mi si chiederà da dove vengo, dirò che sono italiana. Non potrei mai dire che sono svizzera, lo sarò solo sui documenti. Ma nel cuore sarò sempre, sempre italiana”.
L’unica cosa, prettamente italiana, da cui si è allontanata, è la mentalità: “Mi sono allontanata molto dalla mentalità tutta italiana di lamentarsi sempre per quello che succede, e poi non fare niente per cambiarlo, non agire. Non ho intenzione di tornare in Italia, ma non solo perché dovrei cambiare lavoro: perché questo, in fondo, è secondario. Io nella mia vita voglio essere felice e serena e non per forza fare carriera. Ma in Italia non ho voglia di tornare, è una mentalità che non sento più mia. E mi dispiace, perché fino alla fine dei miei giorni, io dirò che sono italiana. Sono italiana ma vivendo fuori. Vivrò sempre con la malinconia del mio paese”.
Gli italiani, però, hanno anche un merito: “Conoscono l’arte di arrangiarsi. Un’arte che affascina tutti gli stranieri, ma che mi fa arrabbiare. Perché in questo modo, l’italiano dimostra di usare l’intelligenza per scopi personali. La sua è un’intelligenza che diventa furbizia. Non serve alla società, non serve al paese. Ma è fine a se stessa”.
E dell’Italia, un’altra cosa che cambierebbe, è l’ora di musica a scuola.“Il flauto dolce per me è una catastrofe, è da bandire proprio subito. E’ una visione della musica che non corrisponde alla musica stessa. La musica si può imparare in modo diverso da questo!”.
I bambini, digiuni di musica, incapaci ad ascoltare non solo le note, ma anche il silenzio, arrivano alle scuole medie e si ritrovano con in mano un flauto dolce, “che è difficile da suonare, perché è uno strumento vero e proprio! Oltretutto è uno strumento a fiato e quindi bisognerebbe prima imparare a respirare. E il risultato è che i bambini si vedono semplicemente ridicoli davanti agli altri, si vergognano perché fanno brutta figura e quella di musica diventa l’ora dell’umiliazione. Oltretutto questo avviene nell’età delle medie, che è difficile di per sé”.
Come abituare i bambini alla musica?“Bisognerebbe farlo fin da piccolissimi. In Africa, per esempio, una mamma, quando un neonato prende un cucchiaio e lo sbatte sul tavolo o sul bicchiere per dire che ha fame, non gli dice di smetterla: prende anche lei una forchetta e inizia a fare dei ritmi con lui, per poterlo stimolare nell’invenzione di nuovi suoni. E poi bisognerebbe cantare in famiglia, bisognerebbe fare musica fin dall’infanzia”.
“E poi non è giusta, questa visione della musica classica come elitaria. In Italia è qualcosa di esclusivo, riservato. All’estero non è così: è semplicemente una forma di musica come le altre, equiparata alle danze africane, al rock, al pop”, spiega, “Questo semplicemente perché i bambini vengono educati all’ascolto fin da piccolissimi”.
E poi ancora la mentalità, troppo chiusa, del Paese:“Io qui, in una classe di dodici bambini, non ne ho due che siano della stessa nazionalità. In Italia sembra che avere un romeno, un marocchino, un cinese in classe (tanto per fare un esempio) costituisca un problema e gli insegnanti si fanno mille domande su come dovranno fare per rispettare il programma. Ma di problemi non ce ne sono! Bisogna aprirsi per non essere impreparati. Perché non si può pretendere di aiutare i bambini ad aprirsi alle altre culture, altrimenti. Le culture non sono un problema, ma una ricchezza”.
E allora cosa fare? La ricetta Valentina Rebaudo non ce l’ha e non ha la presunzione di averla. Ma forse se tutti avessimo la possibilità di ascoltarla parlare (e suonare), questo potrebbe già bastare per renderci almeno un po’ migliori. Anche solo un po’.
Chi volesse conoscere meglio Valentina, può farlo seguendo il suo sito internet: www.valentinarebaudo.com