Davide Laura, l’artista di strada che ha acceso Sanremo con il suo violino
Il violinista racconta su Riviera24 la sua passione per la musica: colei che “aiuta a non sentire dentro il silenzio che c’è fuori”
Sanremo. “La musica è la stenografia delle emozioni. Emozioni che si lasciano descrivere a parole con tali difficoltà sono direttamente trasmesse nella musica, ed in questo sta il suo potere ed il suo significato.” Così il grande scrittore russo Lev Nikolaevic Tolstoj scriveva sulla musica e sulle emozioni. Quella stessa musica e quelle stesse emozioni che da sempre, ancor prima di nascere, muovono Davide Laura alla scoperta del mondo.
Davide Laura, classe 1988, è un nomade che vive del suo violino e di tutto ciò che esso produce. E’ un artista di strada che viaggia per il vecchio e per il nuovo continente solo con un bagaglio di suggestioni ritmiche e melodiche. Davide Laura è il violinista milano-sanremese che mesi fa ha regalato al maestro Riccardo Muti una bottiglia del suo olio di Bajardo; lo stesso violinista finito sulle cronache locali perché cacciato da via Matteotti a seguito di un’esibizione estemporanea e poi richiamato per far vibrare l’oratorio di Santa Brigida con le sue corde.
Davide come è nata la tua passione per la musica?
Sono un figlio della musica, ho con lei un legame osmotico. Mio padre, Massimo Laura, è chitarrista alla Scala di Milano e mia madre, Carla Moreni, è una critica musicale. La musica è sempre stata onnipresente nella mia vita. In famiglia si racconta che ancora prima di nascere, quando mia mamma andava con tutto il suo bel pancione ai concerti, ad ogni nota, ad ogni vibrazione iniziavo a scalciare fortissimo. Venuto al mondo, neppure sapevo parlare che già cantavo. A due anni mi hanno regalato una chitarra giocattolo e ho incominciato a ricreare le prime melodie. I miei genitori, notando questa predisposizione naturale, all’età di sei anni mi hanno iscritto al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Qui, dove ho iniziato a studiare musica classica, mi sono innamorato prima del violoncello e poi del violino. E non potevo fare scelta più centrata.
Perché?
Perché io sono un “nomade” e il violino, data la sua facilità di trasporto, è lo strumento per eccellenza di tutte le antiche popolazioni nomadi. Il nomadismo è una componente fondamentale della mia vita e della mia musica. Dopo gli studi classici mi sono lasciato trasportare dalla musica gitana e jazz manouche che ho portato in giro per le strade di tutta Europa e anche oltreoceano. Diversamente da molti miei colleghi ho scelto la vita dell’artista di strada. Tutto è incominciato alle medie. Il mio migliore amico mi ha sfidato: “Se hai il coraggio di suonare il violino nel centro di Milano ti do 5 mila lire”. Ho accettato e riprodotto i brani che studiavo in classe. Nell’arco di 10 minuti ho racimolato un capitale tale che mi sono elettrizzato, e fino a quando la professoressa di inglese non mi ha scoperto, ogni giorno mi sono recato in strada a suonare.
Cosa è accaduto dopo?
Dopo aver scoperto di aver compiuto un’azione illegale, ho accantonato le performance in strada e mi sono dedicato ai miei studi. La passione per l’esibizione estemporanea è poi riscoppiata intorno ai 20 anni. Ero a Dublino e un po’ per caso un po’ per necessità, ho iniziato a suonare il violino sulla famosa Grafton Street, la strada che ha dato i “natali” agli U2. E forse anche i miei! L’esperienza irlandese è stata per me un punto di non ritorno. Mi ha fatto comprendere che il sogno per cui vivevo era un sogno lucido, realizzabile, e che quindi potevo andare a vedere cosa si nascondeva dietro il sipario. Sempre più avido di emozioni e di esperienze, ho iniziato così a esibirmi per le strade delle grandi capitali Europee, dalla penisola Iberica a quella Balcanica fino ad approdare negli Stati Uniti.
Sono a conoscenza di un curioso aneddoto sul tuo soggiorno statunitense. Vuoi raccontarlo?
Si! Ero a Chicago, suonavo nella lussuosa Michigan Avenue, quando ho un incontro fugace con il Maestro Riccardo Muti. Intrepido scopro dove alloggia e gli lascio una lettera scritta a mano insieme a una bottiglia d’olio. E non un olio qualunque, ma quello prodotto da me e mio padre nel nostro uliveto di Bajardo. Grazie a quel gesto ho ricevuto un invito esclusivo per assistere alle prove della Chicago Symphony Orchestra di cui il Maestro è direttore. Un esperienza surreale!
Io direi immensa! Com’è immenso il fatto che tu abbia portato per le strade di tutto il mondo il nostro territorio…
Io sono nato a Milano da una famiglia lombardo-ligure. Mio nonno paterno è di Bajardo e mia nonna materna è di Ospedaletti. Ho sempre trascorso le mie vacanze, mesi estivi e mesi invernali, a Sanremo. Con questi luoghi conservo un legame molto, molto forte. E in tutti questi anni in cui ho vagato per il mondo con il mio violino, ogni occasione era buona per ritornarci. Sono molto orgoglioso delle mie origini e rendere omaggio al Maestro Muti con una bottiglia d’olio di mia produzione era il minimo che potessi fare. Attualmente vivo nella Pigna, i cui suoni, i cui colori sono per me una fonte d’ispirazione insostituibile. Non smetterò mai di ringraziare la città di Sanremo e tutti i sanremesi per regalarmi ogni volta nuove emozioni. Emozioni sempre intense e vibranti alle quali dedicherò il mio prossimo primo disco.
Cosa rappresenta per te la musica?
La musica per me è linguaggio, è il linguaggio delle emozioni. La musica è movimento dell’anima che si rivolge a tutti. La Musica, come scriveva Bach, è colei che “aiuta a non sentire dentro il silenzio che c’è fuori”.