Orario di lavoro del personale sanitario: le considerazioni del dottor Francesco Longo
“Non si possono mettere in conflitto i diritti dei pazienti con quelli dei medici”
Ventimiglia. Direttiva europea sull’orario di lavoro del personale sanitario: ecco cosa ne pensano i nostri medici.
Il Dottor Francesco Longo, medico psichiatra con studio nella città di confine, associato a “Medicina e Persona” fin dal 1999 (anno in cui essa è stata costituita per difendere il carattere professionale del lavoro in sanità), spiega quali sono le novità introdotte dalla normativa europea che entrerà in vigore il prossimo 25 novembre e, soprattutto, parla della sua professione e di come essa potrebbe cambiare.
Ad essere “imposte” dalla comunità europea saranno, in particolare, tre norme immediatamente eseguibili:
– rispetto del limite massimo di 12 ore e 50 minuti di lavoro giornaliero;
– rispetto del limite massimo di 48 ore di durata media dell’orario di lavoro settimanale;
– rispetto del limite minimo di 11 ore continuative di riposo nell’arco di un giorno.
In Italia, purtroppo, i principi e le norme che regolamentano l’orario di lavoro e la durata minima dei riposi sono stati fino ad ora uno degli argomenti più importanti dibattuti all’interno del mondo del lavoro della dirigenza del ruolo medico e sanitario, soprattutto per il peggioramento delle condizioni di lavoro legato al blocco del turn over e per i risvolti non indifferenti che questo può provocare, con rischi sia per la salute dei medici che dei pazienti.
“Non si possono mettere in conflitto i diritti dei pazienti con quelli dei medici”, dichiara il Dottor Longo, “Sarebbe ingiusto e poco utile per tutti. Il paziente è il terminale della cura: va assistito e questo richiede un sacrificio che va alimentato da chi cura e riconosciuto da chi è curato. Se questa stima non c’è, allora non può esistere un rapporto di cura medico-paziente vero, ma solo, da parte del medico, l’esercizio di una prudente prestazione meccanicistica e, da parte del paziente, la sottile pretesa di un esito”.
“Si perde di vista il fatto che nella lotta alla malattia”, spiega il medico, “Le risorse decisive non stanno nei numeri, ma nella speranza, nella fiducia e nella coscienza del comune destino umano su cui solo si fonda il senso della relazione tra medico e paziente”.
Sulle 11 ore di riposo, lo psichiatra dice: “E’ un’indicazione che si basa su diversi aspetti: evidenze scientifiche sui potenziali danni alla salute dei medici, aspetti di opportunità sociale per gli operatori (che comprendono, oltre al riposo fisiologico, tempo per la famiglia e per le relazioni sociali) e anche di tutela, da parte degli ospedali, sui contenziosi civili in ordine ad errori medici correlati a sovraccarico lavorativo”.
Sono noti, infatti, i dati raccolti da studi attuati negli USA e in Francia sull’opportunità di poter riposare 11 ore dopo aver svolto il turno notturno. Questi studi dimostrano che la stanchezza aumenta il livello di ansia e di irritabilità e che, la riduzione del maggior carico di lavoro orario migliora la vigilanza, diminuendo di un terzo gli errori gravi commessi dai medici.
In Italia, oltre ad esserci un organico esiguo, i medici che hanno raggiunto l’età pensionabile sono ormai la maggioranza e con l’avanzamento dell’età, è risaputo, aumenta la vulnerabilità per stanchezza.
“In altre nazioni europee”, spiega il medico, “I medici effettuano ‘turni pesanti’ in quanto le tipologie di contratto, diversamente da quanto accade in Italia, sono di tipo libero professionale e flessibili. Nella vicina Francia, per esempio, il compenso per i turni notturni è fuori busta paga e questo costituisce un incentivo soprattutto per i giovani medici”.
“Si ritiene quindi”, continua il Dottor Longo, “Che possano essere trovate soluzioni (turni inter-divisionali, a gettone o assegnati in base all’età) coniugando sostenibilità economica ed organizzativa con la salute dei medici stessi”.
L’aspetto che più interessa il Dottor Francesco Longo, però, è quello inerente il significato stesso dell’essere medico: una professione messa a dura prova da turni insopportabili e dalla mancanza di nuove leve a dare un po’ di ossigeno ai pochi dottori assunti: “Il rischio che abbiamo noi medici”, dichiara, “E’ quello di concepirci più come impiegati che come professionisti e di essere più preoccupati di mantenere uno status di diritti che di investire e rischiare sulla professionalità che ci contraddistingue, oltre che la competenza tecnica, la dedizione e il sacrificio”.
“Non si diventa bravi medici a giorni alterni: per fare bene il nostro lavoro bisogna studiare sempre. Ci vogliono passione e tanto tempo. Ciò che caratterizza un professionista, differenziandolo da un impiegato, è l’alta professionalità, il perseguimento della qualità, la consapevolezza realistica di dover fare il meglio con risorse limitate, senza sottrarsi alla propria responsabilità, la coscienza di collaborare a costruire, all’interno degli ospedali, luoghi di accoglienza dove i pazienti siano curati ed assistiti al meglio: questo richiede passione, tempo e sacrificio”.
Una piccola tirata di orecchi, il medico la rivolge ai sindacati “per aver voluto accettare il contratto unico di lavoro in ambito ospedaliero, a fronte di pur giuste garanzie di diritto: questo ha comportato l’accettazione di uno status che rischia con il tempo di veder mortificata la professionalità”.
“Non vorremmo ridurci”, conclude il dottor Longo, “Ad essere meri applicatori meccanicistici di procedure clinico-terapeutiche, le cosiddette linee-guida e procedure”.