L’avvocato risponde – “Mia sorella ha usucapito l’appartamento di mia mamma, ha ragione?”

10 novembre 2015 | 09:41
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L’avvocato risponde – “Mia sorella ha usucapito l’appartamento di mia mamma, ha ragione?”

Buongiorno Avvocato,

sono comproprietaria con mia sorella di un immobile appartenuto a mia madre, deceduta nel 2000.

Mia sorella ha sempre convissuto con nostra madre sin dal 1992 ed ha continuato a risiedere in questa casa anche dopo la morte di quest’ultima.

Ad oggi mia sorella afferma di aver usucapito l’immobile per possesso ultraventennale e si rifiuta di provvedere alla divisione delle quote dell’immobile.

Ha ragione? Cosa posso fare per impedirlo?

Grazie

Gent.ma Sig.ra,

al fine di dare una risposta corretta al Suo quesito devo analizzare gli elementi di fatto che mi ha appena fornito, cercando di fare un po’ di chiarezza sulla questione.

Andando per ordine, rilevo che non é certo sua sorella ma sua madre ad aver avuto materiale disponibilità del bene fino alla sua morte (c.d. possesso) e non certo sua sorella.

Questa ha inibito, di fatto, a sua sorella la possibilità di maturare qualsiasi diritto che le garantisca oggi la possibilità di godere, in via esclusiva, della casa in cui, pure, ha vissuto dal 1992 al 2000.

Al momento della sua morte, però, la situazione che é venuta a crearsi é cambiata radicalmente, atteso che dal 2000 sia lei che sua sorella vi trovate in uno stato di:c.d. comunione ereditaria

Ciò significa che entrambe, senza distinzioni, potete servirvi dell’abitazione materna, ma senza alterarne la destinazione e, soprattutto, senza impedire all’altra di parimenti utilizzarla.

Non mi ha specificato nel quesito se ciò sia mai avvenuto e, cioé, se Lei abbia più avuto la possibilità di rientrare nell’immobile a partire dal 2000, anno di morte di Vostra madre.

Questo é uno dei tanti elementi di cui occorre tener conto, quando si vanta da una parte e si subisce dall’altra, la pretesa di usucapione di un immobile.

Va da sé che, come anticipatoLe in premessa, sua sorella non ha ancora usucapito alcunché per intervenuto possesso ultraventennale, essendo trascorsi solo quindici anni.

Tuttavia, riguardo ai quindici anni appena trascorsi vanno fatte, per tuziorismo, alcune precisazioni.

Non é effettivamente assodato, infatti (e dal suo quesito nulla traspare), quali sono le modalità con cui sua sorella ha cominciato a possedere l’immobile.

Affinché si realizzi l’usucapione del bene immobile, come vorrebbe sua sorella, occorre il possesso continuato ed ininterrotto dello stesso, per un determinato periodo di tempo, stabilito dalla legge (ex articolo 1158 del c.c. tempo richiesto é 20 anni).

Una caratteristica fondamentale del possesso dell’immobile consiste nel comportamento “da proprietario“, specialmente se contro la volontà dell’altro comproprietario originario.

Diversamente, se si opera con il permesso del comproprietario, si riconosce implicitamente di non avere diritti.

Comportarsi, quindi, da proprietario dell’immobile, significa, prima di tutto, assolvere al pagamento delle imposte sulla proprietà.

L’occupante pertanto, non ha alcuna possibilità di usucapire la quota di pertinenza dell’immobile.
Ogni qual volta in cui i coeredi compilano il modello F24, per il pagamento dell’imposta comunale sugli immobili o dell’IRPEF, e provvedono al versamento dell’imposta dovuta, essi interrompono il possesso dell’occupante, impedendo l’usucapione della sua quota.

L’occupante dovrebbe versare le imposte in ragione ed in proporzione della quota che intende usucapire !
Tale principio é del resto ribadito anche dalla Corte di Cassazione in diverse sentenze (una fra tutte Sent. n. 5226 del 12 aprile 2002).

Tale pronunciamento riguarda una caso piuttosto simile alla questione che mi prospetta.
In tale circostanza la Corte ha statuito infatti che: In caso di successione per morte, il coerede può usucapire la quota degli altri coeredi, se dopo la morte del “de cuius” è rimasto nel possesso del bene ereditario. Non è però sufficiente la semplice circostanza per cui gli altri partecipanti alla comunione ereditaria si siano astenuti dall’uso comune del bene ereditato. E’ necessario, perché possa maturare l’usucapione, che il singolo coerede abbia goduto del bene, in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus. Tale volontà non può essere desunta dal semplice fatto che il coerede abbia amministrato il bene ed abbia provveduto alla sua manutenzione e al pagamento delle imposte, giacché si deve presumere che tali attività siano state compiute nella qualità di coerede. Ne discende che per invocare l’usucapione del bene ereditario occorre dimostrare che il rapporto materiale con il bene stesso si è verificato in modo tale da escludere, con palese manifestazione del volere, gli altri coeredi dalla possibilità di instaurare analogo rapporto con il medesimo bene”.Nel caso di specie, non mi ha fornito dati particolari sulla circostanza dell’esclusione, da parte di sua sorella, della possibilità di usufruire, anche da parte sua, della casa materna. Presumo, pertanto, che tale circostanza non si sia verificata e, quand’anche ciò fosse avvenuto, non risultano trascorsi i canonici venti anni, necessari per usucapire.

Sua sorella, quindi, allo stato attuale non ha maturato alcun diritto e, pertanto, ove volesse continuare a vivere nella casa materna, dovrebbe ricercare un necessario accordo con lei in quanto, in questi cinque anni residui, lei ben potrebbe eventualmente interrompere i termini di usucapione con qualsiasi mezzo.

Per quanto riguarda la sua posizione, i mezzi idonei potrebbero essere individuati in accordi condivisi, volti alla cessione delle sue quote di proprietà e relativa liquidazione in denaro del valore delle medesime, ovvero la scelta di far pagare a sua sorella un canone di locazione, che, però, naturalmente, dovrebbe essere decurtato della quota che spetterebbe a lei quale comproprietaria, con una conseguente ripartizione anche delle spese di gestione straordinaria che tenga in debita considerazione le rispettive quote di proprietà.

Ulteriore soluzione condivisa, potrebbe essere quella di vendere la casa, ripartendone il ricavato, ovvero di concederla in locazione, suddividendone i relativi frutti.

In caso di totale disaccordo, come prevedo si verificherà nel suo caso, la strada da percorrere, consisterà nel rivolgervi al tribunale per ottenere la divisione giudiziale dell’immobile.

In questo ultimo ed estremo caso, se sua sorella nelle more dovesse continuare ad abitare presso la casa di famiglia, senza il suo consenso, Lei avrebbe, comunque, la possibilità di chiedere un indennizzo per il mancato godimento del bene in violazione del suo diritto di proprietà.

Il coerede che ha avuto il possesso esclusivo del bene ereditario sarà tenuto al rendiconto della gestione nei confronti degli altri eredi, fatto salvo il suo diritto di recuperare le spese sostenute per il miglioramento del bene, ove ciò abbia determinato un aumento di valore dello stesso.

Oltre a ciò, qualora gli altri coeredi ne facciano richiesta espressamente, sarà tenuto, ove ve ne siano, alla restituzione dei frutti civili percepiti in costanza del possesso.

In tal senso si é espressa anche la Cassazione con sent. n. 14652/12, secondo cui: “in tema di divisione immobiliare il condividente di un immobile che durante il periodo di comunione abbia goduto del bene in via esclusiva senza un titolo giustificativo, deve corrispondere agli altri i frutti civili, quale ristoro della privazione della utilizzazione ”pro quota” del bene comune e dei relativi profitti, con riferimento ai prezzi di mercato correnti dal tempo della stima per la divisione a quello della pronuncia”.

Orientamento, poi, confermato anche da una successiva pronuncia con sent.n. 20394/13, secondo cui : “[…] il comproprietario che durante il periodo di comunione abbia goduto l’intero bene da solo senza un titolo che giustificasse l’esclusione degli altri partecipanti alla comunione, deve corrispondere a questi ultimi, quale ristoro per la privazione dell’utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, i frutti civili, con riferimento ai prezzi di mercato correnti, frutti che, identificandosi con il corrispettivo del godimento dell’immobile che si sarebbe potuto concedere ad altri, possono – solo in mancanza di altri più idonei criteri di valutazione – essere individuati nei canoni di locazione percepibili per l’immobile”.

E’ in tal modo che potrebbe correttamente contrastare, vittoriosamente, le richieste di sua sorella.

Cordiali saluti.

Fonte Luca

Per contatti inviare mail a: luca-fonte@libero.it