L’avvocato risponde – “Lavoro in un call center e mi trasferiscono fuori regione”

12 ottobre 2015 | 10:31
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L’avvocato risponde – “Lavoro in un call center e mi trasferiscono fuori regione”

Buongiorno Avvocato,

lavoro presso un call center ligure che sta per chiudere.

Ho ricevuto una lettera di trasferimento in altro punto vendita ubicato in altra regione e devo comunicare il mio assenso entro tre giorni.

La lettera dice che, essendo al completo tutti i call center ubicati nella regione Liguria, se non addirittura in esubero, l’unica disponibilità per evitare il licenziamento, è lavorare fuori dalla nostra regione e più precisamente a Torino.

Faccio presente che sono mamma di un bimbo disabile e usufruisco della L. 104.

Se non accetto posso perdere il posto di lavoro, ho dei diritti?

Gentile Signora,

con riferimento al tema specifico del trasferimento, segnalo che la Legge disciplina espressamente l’ipotesi di trasferimento della generalità dei lavoratori, ma non fornisce alcuna definizione dell’istituto.

Definizione che viene, invece, fornita dalla giurisprudenza di legittimità e di merito.

Per trasferimento, si intende uno spostamento del lavoratore definitivo e senza limiti di durata, disposto su iniziativa del datore di lavoro, oppure, su esplicita richiesta del lavoratore stesso. L’ipotesi più frequente è il trasferimento individuale del dipendente su iniziativa del datore di lavoro.

A tale riguardo evidenzio che il datore di lavoro ha un’ampia discrezionalità nel decidere unilateralmente di far svolgere l’attività in luogo diverso rispetto a quello indicato nel contratto di assunzione, attraverso il trasferimento del dipendente, a condizione, però, che siano rispettati i limiti previsti dalla Legge e della contrattazione collettiva di riferimento.

Precisamente, con riferimento alle norme del Codice civile, l’art. 2103 dispone che il trasferimento possa essere attuato solo in presenza di “comprovate ragioni tecniche organizzative o produttive”. Ogni patto contrario è nullo. Non è necessario il consenso del lavoratore.

In buona sostanza il dipendente può essere trasferito a patto che il datore di lavoro possa dimostrare: l’inutilità di tale dipendente nella sede di provenienza; la necessità della presenza di quel dipendente, con la sua particolare professionalità, nella sede di destinazione; la serietà delle ragioni che hanno fatto cadere la scelta proprio su quel dipendente e non su altri colleghi che svolgano analoghe mansioni.

Ciò premesso, nella fattispecie concreta ci troviamo in una situazione particolare, in quanto il provvedimento di trasferimento, secondo quanto riferisce, Le è stato comminato a fronte della chiusura definitiva del punto vendita al quale Lei attualmente è addetta.

Conseguentemente, ferma restando la veridicità della imminente soppressione della Sua sede di lavoro attuale, l’inutilità, per il datore di lavoro, di farLe svolgere la prestazione nella sede di provenienza, risiede in re ipsa e, dunque, siamo senz’altro in presenza di ragioni tecnico organizzative e produttive idonee a fondare il mutamento della sede di lavoro.

Inoltre, la scelta di proporre il Suo trasferimento presso un altro punto vendita appare dettata, da quanto mi racconta, dalla volontà di evitare di adottare nei Suoi confronti, come per i suoi colleghi, un licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Per quanto concerne l’aspetto relativo alla Sua situazione familiare personale, osservo che anche questo elemento non impedisce al datore di lavoro di procedere al trasferimento.

Pur essendo vero che il comma 5 dell’art. 33 della l. n. 104/92, prevede il divieto per il datore di lavoro di trasferire, senza consenso, il lavoratore che assiste con continuità un familiare disabile convivente, tuttavia, va detto che la Giurisprudenza ha chiarito che tale principio va in ogni caso bilanciato con le reali intenzioni del datore di lavoro, il quale dovrà, ovviamente, provare la sussistenza di esigenze aziendali effettive ed urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte” (in tal senso Cass. n. 9201/2012).

A mio parere, da tali argomentazioni deriva che il trasferimento in oggetto non potrà essere evitato, pena il suo licenziamento.

Tuttavia, in un secondo tempo, a fronte della L.104, Le sarà possibile richiedere al datore di lavoro un ulteriore trasferimento in sede più vicina al suo posto originario.

Ciò sarà possibile, fermo restando la condizione lavorativa degli altri call center liguri, solo nell’eventualità che venga individuato altro suo collega che svolga le stesse sue funzioni e che sia disponibile a trasferirsi nella sede di Torino.

Cordiali saluti.

Fonte Luca

luca-fonte@libero.it