Ventimiglia, vita alla frontiera tra musica, teatro e gli attivisti del no tenda bis
“E’ soprattutto il paradosso che ferisce: le frontiere vengono sdoganate per le merci e non per le persone”
Ventimiglia. E’ tranquilla la situazione presso il presidio permanente dei no borders a Ponte San Ludovico. Anche oggi i quindici giovani attivisti hanno accolto, con un’assemblea di benvenuto, i nuovi arrivi, tutti sudanesi, che hanno raggiunto il campo durante la notte.
“Vi preghiamo di non fotografarli né filmarli”, ci dice una giovane no border, “Ce lo hanno chiesto espressamente e noi vogliamo che la loro volontà venga rispettata”. Il motivo è facilmente intuibile: le immagini potrebbero servire alla polizia francese per identificare i richiedenti asilo.
Nel campo, autogestito, la vita prosegue pacifica e tranquilla, tra spettacoli di teatro improvvisati, pulizia e cucina. “E questa sera ci sarà un concerto, per allietare gli ottanta ragazzi presenti”. Settanta, ottanta, cento o anche di più a seconda dei giorni. “I migranti arrivano in modo autonomo”, dice un’attivista, “E poi scelgono se restare o no”.
Soprattutto sudanesi, ma anche eritrei e minoranze siriane, afgane e pakistane: ecco chi sono i ragazzi che raggiungono il campo, spesso con nulla con sé, se non uno zainetto e un telefono cellulare. Molti, però, con un vissuto di dolore e sofferenza impossibile da dimenticare. Come ci racconta un’attivista: “Un ragazzo aveva voglia di parlare e l’ho ascoltato. Parlava inglese abbastanza bene. Scappava dal Darfur (una provincia del Sudan, ndr). Sua madre e suo padre sono stati uccisi, e anche sua sorella. I soldati gli hanno sparato alla mano mentre cercava di raccogliere il cadavere della sorella dal fiume”.
“Ma altri provengono da zone meno interessate dalle guerre”, continua la giovane, “Solo che cercano un lavoro, una situazione migliore per poter aiutare economicamente le loro famiglie”.
“Vengono al campo qui alla frontiera e dicono di sentirsi in una grande famiglia“, racconta emozionata un’attivista di Rocchetta Nervina, “Qualcuno ci chiama quando raggiunge la meta che si era prefissato, che sia la Svezia o la Francia. Ci dicono che stanno bene e che hanno raggiunto i loro cari”.
I rapporti umani sono alla base di tutto, in questo micromondo parallelo in cui la coesistenza pacifica tra popoli di diversa cultura esiste. Anche se non è tutto così facile: i giovani italiani che hanno creato il presidio sono stati denunciati per occupazione impropria di suolo pubblico, così come prevede la legge.
Ma nonostante tutto tante persone, sia italiane che francesi, continuano a portare cibo e vestiti al campo.
“Ma sarà dura durante l’inverno, con il freddo e la pioggia”, dicono.
Una cucina, i bagni, la zona notte e un armadio: il presidio non è un hotel a cinque stelle, ma l’allegria non manca.
“Il nostro lavoro è soprattutto informativo: diamo ai migranti la possibilità di parlare con degli avvocati, in modo che possano essere informati sui loro diritti e sul modo in cui devono procedere per richiedere l’asilo politico”.
Oggi il campo è stato raggiunto da altri attivisti, provenienti da Tenda. Perché?
“Questo nuovo tunnel, il tenda bis, porterà un carico maggiore di tir che viaggeranno tra Italia e Francia. Proprio per questo è prevista la creazione di circonvallazioni, che agevoleranno il passaggio dei camion ma rovineranno le vallate”, dicono le attiviste, “Ma a noi è soprattutto il paradosso che ferisce: le frontiere vengono sdoganate per le merci e non per le persone. Non è giusto”.