Parlando dell’Uomo… – L’utopia della libertà di parola
La libertà di parola dovrebbe andare di pari passo con due categorie: responsabilità e equilibrio
Nella storia il desiderio di libertà è veicolato dalla parola. Solo lottando e proponendo nuove argomentazioni valide e fondate, nei secoli, la società si è evoluta. La libertà di parola ha rappresentato il primo strumento per costruire la libertà personale, religiosa, politica. In tutti i campi dalla filosofia alla letteratura, la possibilità, concessa o pretesa, di esprimere il proprio pensiero ha prodotto dei capolavori.
Limitandoci ad un contesto europeo e occidentale, dovremmo chiederci, se è possibile affermare che gli uomini del Terzo millennio abbiano conquistato pienamente l’esercizio di tale strumento? La risposta è complessa.
Il primo problema è trovare un accordo su cosa si intende oggi per libertà di parola.La nostra Costituzione afferma: <<Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione >> (Art. 21).Fra la possibilità sancita dalla Costituzione e la reale attuazione si nota una certa discrepanza.
Già un’analisi superficiale di tutto ciò a cui assistiamo ogni giorno ci permette di arrivare alla conclusione che la libertà di parola è diventata espressione, spesso aggressiva, di un pensiero soggettivo fondato sulle emozioni. Esigenze e storie individuali sono diventate sistema di misura per fenomeni che poi influenzano il modo di percepire la realtà della massa.
I fattori che balzano subito all’attenzione sono due: non esiste un sistema di riferimento etico condiviso e esistono delle lobby che influenzano, imbavagliano o peggio ancora aggrediscono chi si discosta dai loro cammini.
Tre esempi lampanti si sono verificati negli ultimi mesi. Il caso Barilla, cioè lo sbaglio imperdonabile di Guido Barilla di ritenere opportuno privilegiare ancora l’idea classica di famiglia nel marketing. Un secondo caso ha coinvolto il giornale satirico Charlie Hebdo, che è stato santificato e ritenuto simbolo della libertà di parola, molti, infatti, hanno evitato la fatica di documentarsi e rendersi conto che veicola una satira offensiva e fine a se stessa. Infine, un ultimo esempio potrebbe essere il boicottaggio dei prodotti di Dolce e Gabbana. La coppia aveva conquistato, anni fa, le copertine delle riviste più glamour per raccontare il progetto di costruire una famiglia numerosa, notizia che ha ottenuto plauso e condivisione. Gli stessi, circa un mese fa, hanno deciso di rendere pubblica la scelta di non voler soddisfare il desiderio di genitorialità, precisando che sarebbe opportuno lasciare il compito della procreazione ad un uomo e una donna. D’incanto la condivisione piena della prima fase si è trasformata in attacco violento.
Scusate, ma non stavano esercitando in tutti i casi la libertà di parola? E’ evidente che la libertà di parola, pretesa da alcune lobby, che costantemente vomitano argomentazioni, sia privatamente che pubblicamente, diventa non esercitabile, se qualcuno si permette di esprimere parere diverso. Possiamo concludere, quindi, che esistono una libertà di parola di serie A e una di serie B.
Nasce una ulteriore domanda: ma la libertà di parola ha dei limiti, oltre quelli imposti dalle lobby? Nella quotidianità sembra proprio di no, ma forse sarebbe il caso di svegliare le coscienze e trovare dei criteri, dei paletti nell’esercizio di questo prezioso diritto.
Ad esempio evitare di dimenticare che la mia libertà di parola non è assoluta e non può calpestare o zittire l’altro. Essere consapevoli che ciò che diciamo deve rispettare i valori fondamentali riconosciuti dalle leggi e principalmente, oserei dire, dalla nostra coscienza.
Dobbiamo riscoprire il coraggio di affermare con determinazione che il diritto di parola non si deve utilizzare per distruggere ma per costruire. La libertà di parola, infine, dovrebbe andare di pari passo con due categorie: responsabilità e equilibrio. Responsabilità, in quanto è opportuno valutare gli effetti che il mio pensiero determinerà e equilibrio, che si può esercitare quando non si amplifica la propria storia personale e si guarda al bene dell’altro e comune.
(di Anna Rosaria Gioeni – Teologa)