Oubasi, “Io profugo tifoso del Chelsea sopravvissuto nel viaggio della morte”
L’accoglienza alla parrocchia dei Piani, la doccia, la colazione e le preghiere, i profughi partono per il Nord Europa
Imperia. “Che ha fatto il Chelsea nell’ultima di campionato?”. Vuole essere informato su tutto e dimenticare quel viaggio da fame e da incubo durato 17 ore Oubasi, 23 anni, eritreo. Arrivato l’altra sera ai Piani di Imperia, questa mattina alle 11 insieme ad altri dieci amici ha raggiunto la stazione. “Andremo a Milano e speriamo di poter arrivare in Germania. Ho un fratello laggiù e quella è la mia destinazione finale”.
Il ventitreenne eritreo, insieme ad altri connazionali, ha alloggiato nel grande stanzone della chiesa dei Piani che é stato messo a disposizione da don Antonello Dani. “Lasciateli andare, é gente disperata – dice il sacerdote temendo che a Milano la polizia li rispedisca indietro – E’ gente che ha perso tutto e che ha rischiato di morire. Non sono malati – precisa il parroco che di immigrati da queste parti ne ha giá visti a centinaia dal luglio scorso – Giá quando erano a bordo della nave che li ha soccorsi in Sicilia sono stati visitati e medicati. E’ solamente gente che ha bisogno di aiuto e di essere confortata e ai Piani gli abitanti ci hanno dato una mano a gestire anche nel nostro piccolo, l’emergenza profughi”. Sono arrivate lenzuola, coperte, maglie e maglioni, pantaloni e scarpe.
Oubasi ha la mano destra fasciata. Che ti é successo? “Quando la motovedetta della guardia costiera si é avvicinata al nostro peschereccio il mare era mosso. Per passare da una parte all’altra sono rimasto schiacciato tra i due bordi. Ho rischiato di finire in mare. Per fortuna mi sono rotto una mano, ma sono vivo”.
Dall’Eritrea con la voglia di libertá. Un viaggio di 17 ore dall’Africa alla Sicilia. Biglietto di sola andata. Costo? “Allo scafista io ho dato 5000 dollari, tutto quello che avevo – racconta in uno stentato inglese – adesso proseguo per la Germania. Laggiù ho un fratello che mi aspetta”.
Doccia, colazione e preghiera. “Sono eritrei cattolici – dice don Antonello Dani – hanno pregato in questi giorni. Io prego perché il buon Dio li possa proteggere”.
Oubasi allunga la mano e vuole salutarmi. “Tranquillo, non sono malato. Qualcuno ha scritto sul web che siamo persone che hanno la scabbia. Non é vero. Scrivilo, mi fido di te”.
Oubasi si incammina verso la stazione. Poi torna indietro toccandosi la testa, come se si fosse dimenticato qualcosa. Vede la donna del paese che gli ha regalato la felpa bianca e i pantaloni. L’abbraccia ed é commosso:”Grazie mamma and good luck”. É giá ora di rimettersi in viaggio.