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Dimenticare per zittire la coscienza

17 maggio 2015 | 07:45
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Dimenticare per zittire la coscienza

Nulla è mutato, la disperazione continua a muovere uomini e donne, pronti anche a morire, pur di scappare dalla miseria e da luoghi senza speranza

«Ammonticchiati là come giumenti. / Sulla gelida prua morsa dai venti, / Migrano a terre inospiti e lontane; / Laceri e macilenti, / Varcano i mari per cercar del pane» .

I versi della poesia di Edmondo De Amicis, Gli emigranti, propongono con forza dirompente delle situazioni che incredibilmente ci richiamano all’oggi, alla crudezza di notizie e immagini sulla disperazione dei nuovi migranti. Versi che incidono sulle nostre coscienze, che hanno rimosso ormai da decenni il ricordo dei tempi della povertà e dell’umiliazione degli italiani espatriati.

Scrive Luigi Capuana nella novella Gli americani di Ràbbato, «Semo arivati qui in una cità che si chiama Nuova iorca ed è più grande di tutta la Siggilia che fa spavento tanta è la popolazione nelle strate. Uno si perde.». I siciliani all’estero, sottolinea l’autore, erano così tanti che, persino New York, la domenica diventava una propaggine del paese di origine.

Pirandello nel racconto L’altro figlio narra il dramma di una vecchia contadina abbandonata dal marito e dai figli, emigrati in Argentina. Lasciata sola e negli stenti, è vittima di una violenza all’epoca dell’arrivo dei garibaldini, dalla quale nasce un figlio. Doppiamente emarginata, vive il tormento di essere stata abbandonata dai suoi uomini, rimanendo ancorata alla speranza di una lettera che mai arriverà. Queste e tante altre saranno le conseguenze del più grande esodo migratorio della storia moderna.

La storia dei nostri emigranti non è un racconto romantico, un’epopea della conquista di terre lontane, ma una storia costellata da drammi individuali e collettivi, stragi, sfruttamento e in alcuni casi anche di schiavitù. Milioni di italiani furono attirati in America dalle lettere dei loro congiunti, che spesso contenevano i biglietti prepagati per il viaggio della speranza. Il destino di molti fu lavorare per un padrone, versando una tangente per ottenere un lavoro, l’abitazione e l’obbligo di acquistare le merci negli spacci segnalati. Non furono rari i casi in cui gli stessi italiani gestirono il collocamento degli immigrati, sfruttando i propri conterranei.

In Brasile la manodopera italiana sostituì quella degli schiavi, al punto che lo stesso Governo Italiano, con il Decreto Prinetti del 1902, proibì l’emigrazione verso tale nazione. I braccianti italiani accettavano paghe più basse dei braccianti locali e di conseguenza venivano mal visti e accusati di atti di violenza o delinquenza, come nell’episodio degli undici italiani uccisi a New Orleans nel 1901, sospettati di appartenere alla Mafia. Vere e proprie stragi ed episodi di pestaggi o omicidi si moltiplicarono negli anni.

La violenza era, per gli americani, fra i prodotti che importavano gli italiani, in quanto connaturata alla loro cultura e tradizione, quindi non era strano che questi briganti portassero con sé un attaccamento alle loro attività originarie, si leggeva sul New York Times dell’1 gennaio del 1894. Gli italiani furono accusati di essere sudici, arretrati come qualità della vita e nelle relazioni interpersonali e di praticare strani rituali religiosi, di disinteressarsi dell’istruzione dei figli e di subordinare la donna all’interno della famiglia e della società. La scuola fu il luogo per antonomasia, dove i figli degli immigrati si resero conto di essere diversi.

La scuola venne indicata come principale responsabile dei problemi dei bambini stranieri, a causa dell’impreparazione degli insegnanti, che non si preoccupavano nemmeno di pronunciare correttamente i nomi dei loro allievi di origine straniera, chiamandoli spesso con epiteti. Se rileggiamo questi eventi è lapalissiano che nulla è mutato, vicende lontane si ripresentano, cambia il nome dei protagonisti, i paesi d’origine e le destinazioni, ma la disperazione continua a muovere uomini e donne, pronti anche a morire, pur di scappare dalla miseria e da luoghi senza speranza. L’unica novità che possiamo riscontrare è che l’Italia è diventata terra di approdo e non di partenza. Anche su questa ultima affermazione si potrebbe obiettare, infatti, se teniamo conto della fuga obbligata dei nostri giovani, l’emigrazione continua, con metodi diversi, con mezzi di lusso, ma dimostra che nessun essere umano desidera rimanere in una terra senza speranza.

(di ANNA ROSARIA GIOENI – Teologa)