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“Giovani…Chi cercate?”

22 aprile 2015 | 12:06
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“Giovani…Chi cercate?”

Decidersi a donare la nostra vita al Signore per rispondere a quanti cercano una speranza nel loro faticoso cammino. Perché solo il suo amore ci rende capaci di amare fino in fondo il nostro fratello, anche quando sembra che non ci siano risposte

Penso a quanto sia facile fare della teologia a tavolino, oppure dare giudizi su tutto quello che nel mondo non funziona e diventare così uno splendido maître à penser capace di riempirsi la bocca di retorica che, in questi momenti, suona come un’offesa nei confronti di chi soffre e muore sotto i nostri occhi. Capirete che sto parlando della tragedia in mare che si è consumata in questi giorni. Un dramma numericamente spaventoso che però si aggiunge ai tanti “piccoli” e sconosciuti martiri che si consumano in troppe parti del mondo.

Perché quello che vivono tutti coloro che cercano una speranza (e per questa muoiono) sono davvero come i martiri che noi cristiani guardiamo con ammirazione. Qualcuno certo non la pensa così, considera degli “invasori” questi disgraziati che ogni giorno pagano un tributo incalcolabile ai nuovi schiavisti che dirigono i traffici sul mare. Ma non voglio parlare di politica; si potrebbero dire tante cose: anche sulla stessa Europa! Vorrei invece parlare di Vangelo.

Noi tutti sappiamo su cosa saremo giudicati quando incontreremo il Signore: Gesù lo ha detto in modo chiarissimo. Basta leggere il capitolo 25 del Vangelo di Matteo.
Credo che lo conosciamo bene; proviamo a leggerlo di nuovo. È il compito a casa per la settimana, insieme ad un’altra lettura che vedremo fra poco.

Anche per capire che il martirio dei poveri, dei perseguitati, di coloro che, in modo diverso, sono costretti – perché ultimi – a subire la violenza dei potenti ci interpella in modo diretto e ci chiede di prendere posizione.
Ma non solo con le parole: sarebbe troppo facile e comodo.

La vera risposta a queste ingiustizie deve indirizzare il nostro stile di vita e le nostre scelte. Fare della retorica non serve con chi ha fame, con chi perde il lavoro, con chi è ammalato terminale, con il nostro fratello e la nostra sorella che chiedono aiuto.
Il cristiano sa che non può voltarsi dall’altra parte e fare finta di niente.

Ma cosa possiamo fare? Noi non contiamo niente, non abbiamo il potere di decidere?
Inoltre la situazione è tanto complessa che è difficile dare delle risposte.
Tutto vero.

Ma il problema esiste, ci interpella: Gesù è il profugo che cerca un futuro per sé e per i suoi familiari.
Posso chiudere gli occhi ed il cuore di fronte alla sua richiesta.
Ma ci riesco davvero? Riesco a non sentire questo grido straziante che chiede aiuto. A me?
Non avrebbe nessun senso, anzi sarebbe una presa in giro, aver festeggiato la Pasqua di resurrezione da poco e scordare le parole del Crocifisso.
“Ho sete!”
“Mio Dio, perché mi hai abbandonato?”
Allora anche le nostre celebrazioni non sono altro che retorica a buon mercato. Andiamo un’ora in chiesa per la messa, il tributo è pagato e se ne parla fra una settimana. Sono in pace con la coscienza.

Ma non è così. Quello che vediamo in televisione, quello che sentiamo e leggiamo sui media ci fanno sentire una grande indignazione per le ingiustizie di un mondo che vorremmo diverso. Questo è il punto di partenza. La conversione che il Signore ci chiede.
Don Milani lo insegnava ai suoi ragazzi. “I care”, cioè: mi interessa, mi sta a cuore. Ripartiamo da qui. E poi chiediamo al Signore che ci suggerisca cosa fare, cosa è alla nostra portata.

Perché di fronte ai grandi discorsi dei politici e alle missioni di pace (o di guerra?) che vengono addirittura prospettate, noi vorremmo dire che abbiamo una diversa idea per costruire un mondo migliore.
Quella che portano avanti tanti missionari nelle zone più difficili del mondo. Di questo non si parla quasi mai; anche loro infatti fanno notizia solo quando muoiono. Ma la Chiesa è in prima linea da sempre. Non solo lei, certo. Esistono anche tante Associazioni che si sforzano di portare aiuto nelle zone più povere dei diversi continenti.

Ma è più facile, per chi governa, a qualunque livello e di qualunque colore (e non voglio fare un discorso, appunto, “qualunquista”) non capire che solo la cooperazione fra i popoli, una cooperazione seria e veramente aiutata dagli Stati, allontana lo spettro della povertà e, come conseguenza delle migrazioni di massa. Perché quello che viviamo è un esodo biblico.
Nel 1967 Papa Paolo VI, nella enciclica Populorum Progressio affrontava con chiarezza la questione sociale. Una rilettura anche di questo documento ci aiuterà a chiarirci le idee.

La situazione è senza dubbio mutata da quegli anni, conoscendo un drammatico aumento del numero dei profughi. Le risposte sono sempre più complesse e difficili. Ma dobbiamo trovarle ed impegnarci o davvero la collera dei poveri ci seppellirà.
La prima risposta nasce, per un cristiano, dal confronto con quello che ci chiede il Signore. Il brano di Matteo ci serva da riflessione e da guida.

La dottrina sociale della Chiesa ha sviluppato la riflessione su questo e su altri temi, offrendoci una chiave di lettura efficace delle problematiche che la società odierna ci propone.
Infine il nostro cuore ci dice cosa è giusto fare. Ci dice che è impossibile chiudere gli occhi di fronte al nostro fratello che ci chiede aiuto.
Un pensiero per concludere.

La prossima domenica la liturgia ci propone il Vangelo del Buon Pastore, la giornata sarà dedicata alla preghiera per le Vocazioni (vi ricordo venerdì la Veglia. I dettagli sul nostro sito).

Anche questo è un modo per rispondere a coloro che ci chiedono aiuto. Decidersi a donare la nostra vita al Signore per rispondere a quanti cercano una speranza nel loro faticoso cammino. Perché solo il suo amore ci rende capaci di amare fino in fondo il nostro fratello, anche quando sembra che non ci siano risposte ai nostri interrogativi.
Lui è la risposta.
E questa non è retorica: ma è la nostra fede.
“E questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede”. 1 Lettera di Giovanni 5, 4.

(di Nuccio Garibaldi)