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“Chi cercate? … Gesù è Risorto!”

8 aprile 2015 | 11:40
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“Chi cercate? … Gesù è Risorto!”

La mia fede vive di questa speranza: che cioè il Cristo è il Signore della vita che vince la morte?
Perché: ” Se Cristo non è risorto dai morti, vana è la vostra fede”. (1 Corinzi 15, 17)

"Gesù è risorto". Questo grido, ancora oggi risuona con forza nella comunità dei credenti; e la Chiesa si fa testimone di un annuncio di salvezza da portare a tutti gli uomini di ogni terra e di ogni tempo. Ma questo messaggio cosa significa per me, oggi? Cosa cambia nella mia vita?

La mia fede vive di questa speranza: che cioè il Cristo è il Signore della vita che vince la morte?
Perché: " Se Cristo non è risorto dai morti, vana è la vostra fede". (1 Corinzi 15, 17)

Una domanda che, come cristiani, dobbiamo farci con molta onestà, soprattutto di fronte alle violenze che – ormai in troppe parti del mondo – si scatenano contro coloro che commettono il "crimine" di credere in Cristo.
D’altra parte questa era la situazione normale dei primi credenti, i quali sapevano di essere quasi dei condannati a morte; il rifiuto infatti di adorare altri dei, o lo stesso imperatore, li esponeva al pericolo di essere giustiziati.

A noi forse non verrà chiesto tanto; dobbiamo però chiederci se siamo disposti a dare la nostra vita per Lui. Provo a tradurre in termini pratici. Se siamo disposti a morire, credendo nella sua promessa di vita eterna, piuttosto che rinunciare a quello che crediamo. Il Signore non ci chiederà di morire in una Università del Kenia, solo perché siamo cristiani, ma certo ci chiede di "morire" ogni giorno per rifiutare quegli atteggiamenti, quelle scelte che ci allontanano da Lui: dal peccato.

Ed è appunto questo che dobbiamo capire. Partendo innanzitutto dalla nostra adesione di fede. Infatti si ha spesso l’impressione che la fede che viviamo non sia altro che un insieme di verità intellettuali e di tradizioni umane che conserviamo senza che producano in noi un autentico cambiamento di vita.

Quando mi interrogo sulla mia fede sono costretto a rendermi conto che credo con la testa, ma non con il cuore. La preghiera del pio israelita, in Deuteronomio 6, 4-7, ripresa nei Sinottici da Gesù, è anche la nostra: poiché afferma che l’amore per Dio è un amore totale che prende tutto il nostro essere. Al punto che nessuna cosa, neppure la nostra vita, diventa più importante di questo legame.
Per questo i martiri ed i santi sono stati capaci di donarsi e consumarsi totalmente in una risposta d’amore che, senza condizionamenti e calcoli, si è tradotta in abbandono fiducioso alla volontà divina. Perché quello in cui crediamo non è una formula, un’ideologia o un insieme di precetti. Quello in cui crediamo è Gesù, il Dio fatto uomo per noi e per la nostra salvezza. E crediamo in Lui perché ha vinto la morte.

Celebrare la Pasqua, credere nella risurrezione e annunciare la buona novella allora non può essere solo un atteggiamento formale che lascia immutata la nostra esistenza, proprio perché non incide profondamente in essa fino al punto di cambiarla.
Certo questo itinerario non è un processo che si realizza in un giorno, anzi – lo sperimentiamo – richiede tutta la vita. Trova però la sua forza in una consegna quotidiana e credente a quella buona novella, a quel Vangelo che è lo stesso Gesù.

Ecco allora che la Pasqua diventa autentico "passaggio" dalla morte alla vita, dall’uomo vecchio all’uomo nuovo: immersione in quello spazio nel quale si coglie la specificità, la "differenza" cristiana.
Vivere nel mondo senza essere del mondo, lo ricordava il nostro vescovo nell’omelia della Messa di Pasqua, significa non rifiutare le cose belle che la vita ci offre, ma saper guardare oltre.

Credo che soprattutto i giovani – quelli che sono giovani dentro, perché spinti dal desiderio di non accontentarsi e di crescere sempre – possano con coraggio accostarsi, nella preghiera fiduciosa, alla comprensione di questo grande mistero d’amore.
La Pasqua è prima di tutto, come per il popolo ebreo schiavo in Egitto, un’esperienza esaltante di liberazione. Così anche per il cristiano. Esperienza di libertà che ci permette di vivere una vita in pienezza, perché non fondata su quello che passa, ma radicata in Colui Che È.
In questo tempo la Chiesa, quindi ognuno di noi, viene invitato ad accostarsi al Risorto che viene a cercarci nelle "periferie esistenziali", luoghi delle povertà materiali (ed anche delle nostre fughe), per ripetere il cammino dell’apostolo Tommaso.

Cercati e chiamati da Lui, ci accostiamo e tocchiamo le sue piaghe, ripercorriamo il dramma della sofferenza e della croce (quella che la Chiesa ancora subisce dove i cristiani sono perseguitati) per poter riconoscere la sua signoria nella nostra vita. Per poter dire, come l’apostolo divenuto "credente": "Mio Signore e mio Dio".

(di Nuccio Garibaldi)