Santa Messa Crismale nella Cattedrale Nostra Signora Assunta di Ventimiglia

17 aprile 2014 | 09:00
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Santa Messa Crismale nella Cattedrale Nostra Signora Assunta di Ventimiglia
Santa Messa Crismale nella Cattedrale Nostra Signora Assunta di Ventimiglia
Santa Messa Crismale nella Cattedrale Nostra Signora Assunta di Ventimiglia
Santa Messa Crismale nella Cattedrale Nostra Signora Assunta di Ventimiglia
Santa Messa Crismale nella Cattedrale Nostra Signora Assunta di Ventimiglia
Santa Messa Crismale nella Cattedrale Nostra Signora Assunta di Ventimiglia

“Pregate per noi preti, non lasciateci soli, siate esigenti con noi nel chiederci i doni che il Signore ha messo nelle nostre mani per voi”. Il testo integrale dell’omelia del Vescovo Diocesano, Mons. Antonio Suetta

Appuntamento annuale nella Cattedrale di Nostra Signora Assunta in Ventimiglia alta per la Santa Messa Crismale.
Ecco il testo integrale dell’omelia del Vescovo Diocesano, Mons. Antonio Suetta:

Eccellenze, cari sacerdoti e diaconi, cari fedeli, sono felice di celebrare con voi per la prima volta in questa Chiesa particolare la Messa crismale e vi saluto con grande affetto.
"Oggi si è compiuta la Scrittura che avete ascoltato". Con queste parole, semplici e inequivocabili, Gesù nella sinagoga di Nazareth ha commentato il famoso testo di Isaia. Quel testo annunciava un inviato di Dio e lo presentava come il consacrato con l’unzione. Si tratta dell’olio che consacra i re, i sacerdoti e i profeti, così anche l’olio che noi oggi consacriamo come crisma di salvezza e benediciamo per i catecumeni e per gli infermi. È olio di letizia perché rivela le grandi meraviglie di Dio, olio di consolazione, che lenisce le ferite, olio di speranza che fa brillare il nostro volto della luce del Signore.
Attraverso il segno di questo olio, il Signore rende manifesto ed attua il suo disegno, quello che abbiamo ascoltato dalla bocca di Isaia prima e poi di Gesù stesso.
“Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi
e proclamare l’anno di grazia del Signore”.
In questo annuncio é il suo piano di salvezza, il suo sogno per l’umanità.
Dio pensa all’uomo come al destinatario di un annuncio di gioia, come ad un essere finalmente capace di libertà, capace di vedere le grandi opere di Dio e di vivere una nuova stagione della vita finalmente abitata ed animata dalla grazia del Signore, pellegrinaggio sicuro verso l’eterna beatitudine.
Questo annuncio è per i poveri, per gli sfiduciati, per chi ha il cuore spezzato.
È l’olio della tenerezza, del perdono, della misericordia e della consacrazione.
È l’olio che un giorno ha consacrato anche le mani di noi tutti, unti nello Spirito di Dio  e così costituiti ministri del Signore.
La grazia di questo giorno, festa del nostro sacerdozio, ci riconduce alla sorgente più intima del nostro ministero e ci ridona la gioia di saperci chiamati per nome e destinati ad essere di "Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre".
Carissimi sacerdoti e diaconi, la liturgia che stiamo vivendo, attraverso i suoi segni, soprattutto in quello della nostra comunione fraterna, è un rinnovato invito da parte del Signore a seguirlo con la generosità e lo slancio di quando abbiamo avvertito il suo sguardo sulla nostra vita e di quando, concluso il tempo della formazione, abbiamo risposto “si” alla voce della Chiesa, che, attraverso il ministero del Vescovo, ci ha chiamato alla Sacra Ordinazione. Oggi viviamo questa attitudine nel rinnovo delle promesse sacerdotali: rifulga pertanto nella nostra vita e nelle nostre opere lo splendore del sacerdozio ricevuto e ognuno di noi si senta personalmente interpellato dal richiamo del Signore: 
“Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,48).
A questo proposito mi piace rileggere con voi le parole che Papa Francesco ha rivolto ai Vescovi italiani in occasione della professione di fede in San Pietro presso l’altare della confessione lo scorso 23 maggio: 
“… questo altare della Confessione diventa così il nostro lago di Tiberiade, sulle cui rive riascoltiamo lo stupendo dialogo tra Gesù e Pietro, con l’interrogativo indirizzato all’Apostolo, ma che deve risuonare anche nel nostro cuore…
«Mi ami tu?»; «Mi sei amico?» (cfr Gv 21,15ss).
La domanda è rivolta a un uomo che, nonostante solenni dichiarazioni, si era lasciato prendere dalla paura e aveva rinnegato.
«Mi ami tu?»; «Mi sei amico?».
La domanda è rivolta a me e a ciascuno di noi, a tutti noi: se evitiamo di rispondere in maniera troppo affrettata e superficiale, essa ci spinge a guardarci dentro, a rientrare in noi stessi.
«Mi ami tu?»; «Mi sei amico?».
Colui che scruta i cuori (cfr Rm 8,27) si fa mendicante d’amore e ci interroga sull’unica questione veramente essenziale, premessa e condizione per pascere le sue pecore, i suoi agnelli, la sua Chiesa. Ogni ministero si fonda su questa intimità con il Signore; vivere di Lui è la misura del nostro servizio ecclesiale, che si esprime nella disponibilità all’obbedienza, all’abbassamento… e alla donazione totale (cfr  Fil 2,6-11).
Del resto, la conseguenza dell’amare il Signore è dare tutto – proprio tutto, fino alla stessa vita – per Lui: questo è ciò che deve distinguere il nostro ministero pastorale; è la cartina di tornasole che dice con quale profondità abbiamo abbracciato il dono ricevuto rispondendo alla chiamata di Gesù e quanto ci siamo legati alle persone e alle comunità che ci sono state affidate. Non siamo espressione di una struttura o di una necessità organizzativa: anche con il servizio della nostra autorità siamo chiamati a essere segno della presenza e dell’azione del Signore risorto, a edificare, quindi, la comunità nella carità fraterna”.
Accanto al primo e fondamentale impegno della santità della vita, desidero ricordare anche il mandato di essere annunciatori della Parola che salva, dispensatori dei misteri di Dio e guide del popolo che il Signore ci affida.
I santi oli, che porterete nelle comunità parrocchiali della nostra Chiesa particolare, e più ancora l’Eucaristia che celebriamo insieme, sono il cuore essenziale della nostra missione. Non abbiamo altro da portare ai fratelli se non l’amore di Dio, la sua salvezza, la sua verità, la pace, la misericordia, il perdono e la tenerezza di Dio. Questo è e dev’essere l’unico scopo della nostra vita e del servizio che compiamo.
Sottolineo ciò ripetendo a me stesso e a Voi, carissimi Confratelli, le espressioni dell’Apostolo Paolo a Timoteo: 
“Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina. Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole. Tu però vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del vangelo, adempi il tuo ministero. (2 Tm 4, 1 – 5).
Insieme alla grazia di Dio e alla fedeltà alla Chiesa, la nostra comunione fraterna, che risplende in questa solenne occasione, sia un baluardo sicuro per ognuno di noi di fronte alle tentazioni dello scoraggiamento e della fuga, e sia la migliore consolazione per le fatiche e le sofferenze che troviamo sul nostro cammino, come ci ricordava il testo di Sant’Atanasio qualche giorno fa nelle letture della Liturgia delle ore:
“La celebrazione liturgica ci sostiene nelle afflizioni che incontriamo in questo mondo. Per mezzo di essa Dio ci accorda quella gioia della salvezza, che accresce la fraternità. Mediante l’azione sacramentale della festa, infatti, ci fonde in un’unica assemblea, ci unisce tutti spiritualmente e fa ritrovare vicini anche i lontani. La celebrazione della Chiesa ci offre il modo di pregare insieme e innalzare comunitariamente il nostro grazie a Dio. Questa anzi è un’esigenza propria di ogni festa liturgica. È un miracolo della bontà di Dio quello di far sentire solidali nella celebrazione e fondere nell’unità della fede lontani e vicini, presenti e assenti” (Lett. 5, 1-2; PG 26, 1379-1380).
Carissimi sacerdoti e diaconi, semplicemente desidero dirvi la stima, la gratitudine e l’affetto, che sono nel mio cuore per voi. Grazie per il dono della vostra vita, per il lavoro nella vigna del Signore, per la pazienza, per l’impegno che mettete nel condurre una vita fedele e santa. Grazie perché ci siete e grazie per l’accoglienza che mi avete riservato con vero spirito di fede e con autentica carità sacerdotale. Anch’io, ve lo assicuro, vi accolgo con affetto e con gioia e sono grato al Signore di questo buon presbiterio. Gli stessi sentimenti sono per i Religiosi e le Religiose che vivono e lavorano in Diocesi.
Ricordo oggi con voi i confratelli che il Signore ha chiamato a sé in questo anno e ricordo ancora con affetto don Marco, la cui vicenda ci ha ferito e addolorato.
Desidero dire anche una parola di stima e di incoraggiamento per i ministranti, i cresimandi, i ragazzi e i giovani “in ricerca”, che siete presenti a questa liturgia.
Sappiate che il Signore ha una parola originale per ciascuno di voi, una parola di pace e di bene per la vostra vita, che sarà pienamente riuscita e felice, come voi la desiderate, soltanto nella misura in cui corrisponderà al disegno di Dio.
Pregate per noi preti, non lasciateci soli, siate esigenti con noi nel chiederci i doni che il Signore ha messo nelle nostre mani per voi. Chiedete insieme a noi che “il padrone della messe mandi operai per la sua messe” e (perché no?) ciascuno si faccia attento e soprattutto disponibile a qualche sorpresa di Dio, che chiama gli uomini secondo i suoi misteriosi disegni ad essere suoi cooperatori.

+Mons. Antonio Suetta