Santa Messa nell’anniversario di morte di don Luigi Orione presieduta da Mons. Antonio Suetta/Omelia
16 marzo 2014 | 11:30
“Alla “sua” Madonna della Guardia e a San Luigi Orione affido la nostra Chiesa di Ventimiglia – San Remo ed il mio ministero di Vescovo, notando con gioia la felice coincidenza che anch’io sono giunto in Diocesi il 9 marzo, come lui”
In occasione dell’anniversario della morte di don Luigi Orione (Sanremo, 12 marzo 1940), il Vescovo della diocesi di Ventimiglia – Sanremo, Mons. Antonio Suetta, ha celebrato la Santa Messa nella chiesa di Santa Maria degli Angeli in Sanremo.
Ecco il testo integrale della sua omelia:
Nel 1940, 74 anni fa, don Luigi Orione era a San Remo, “un po’ triste perché gli toccava morire tra le palme invece che tra i poveri” e ripeteva ad un confratello: “non mi sento, non posso stare qui: fatemi questa carità, guarda l’orario dei treni”. Guardando poi una statuetta della Madonna, si acquietava e diceva: “Guarda come è bella! Non ti pare che non dovrei fare altro che chiudere gli occhi”.
Il 12 marzo rese la sua anima a Dio come partendo per una missione, dicendo infatti: “Gesù, Gesù. Vado!”.
I testi della Parola di Dio proclamati in questa seconda domenica di Quaresima sono il migliore contesto per cogliere alcuni tratti della vita di questo Santo così vicino a noi nel tempo, nello spazio e nell’umanità.
La figura di Abramo, chiamato da Dio a lasciare la sua terra per una misteriosa e straordinaria vocazione, illumina notevolmente la vita di don Orione, che, fin da bambino, ha avvertito una speciale chiamata del Signore e che, come Abramo, ha fatto i conti con lo stile di Dio, che non risparmia oscurità, prove e contraddizioni a chi si fida di lui.
L’umiltà di condizione, la povertà della famiglia, la fatica del lavoro, l’esperienza precoce della malattia, hanno fatto nascere in lui naturalmente l’amore ai poveri, a incominciare da quelli di casa sua.
Sognava di diventare sacerdote. Curioso anche il percorso della sua vocazione: dapprima una polmonite gli impedì di entrare tra i francescani, che gli sembravano così vicini alla sua sensibilità; poi, dopo una intensa e decisiva frequentazione con don Bosco, quando gli sembrava naturale entrare tra i salesiani, tanto più che lo stesso don Bosco gli aveva detto: “ricordati che noi saremo sempre amici”, il Signore lo spiazzò con dei dubbi, che lo stesso don Bosco, ormai morto, concorse a fargli superare in un sogno, in cui lo aiutava ad indossare la veste talare del Seminario. La morte del papà complicò ancora un poco le cose e per il giovane seminarista Luigi si rese necessario un piccolo lavoretto. L’occasione fu colta al volo anche per svolgere un piccolo servizio pastorale per monelli di strada; anche questa esperienza fu contrastata e dovette modificarsi diventando come un oratorio itinerante, con la benedizione del Vescovo, che però, dopo un anno, per pressioni esterne ed ingiuste, gli chiese di chiuderlo. Ai suoi dubbi e alla sua tristezza rispose la Madonna con un sogno, che gli diede tanta pace. Di fatto il giovane Luigi ben presto, sempre con il sostegno del Vescovo, potè realizzare il suo desiderio, ancora più in grande. Dopo pochi anni fu ordinato sacerdote e da quel momento, con passaggi misteriosi orditi dalla Provvidenza, don Orione incomincia a percorrere l’Italia aprendo case con il sostegno evidente della volontà di Dio e dei miracoli che gli fiorivano tra le mani.
Come non leggere queste cose alla luce dell’esperienza di Abramo? La fede è sempre un consegnarsi a Dio, senza riserve e senza pretese.
Di chi fidarsi? Se lo sarà chiesto anche il piccolo Luigi Orione. Ci sono momenti in cui con più forza avvertiamo di essere come ad un bivio: cosa scegliere? Se scelgo Dio e rinuncio a quanto la vita talvolta mi serve su un vassoio d’argento, com’era accaduto a Gesù nel deserto della prova, questo Dio cosa potrà offrirmi in cambio?
Siamo un po’ tutti come Abramo quando chiede al Signore che gli promette una terra: “Signore mio, come potrò sapere che ne avrò il possesso?” (Gn 15,8). Per quanto possiamo professare di avere fiducia, chi di noi non subisce il fascino di avere per dio il proprio cuore e la soddisfazione di un bisogno immediato? Ci sono giorni in cui questa sembra l’unica prospettiva degna e vera.
Per questo, come abbiamo sentito nel Vangelo, abbiamo bisogno di lasciarci portare sul monte, come per curiosare, anche solo per un attimo, cosa accade a Gesù. Abbiamo bisogno quasi di un piccolo anticipo di quel che attende il Maestro e perciò anche noi con lui. Abbiamo bisogno anche noi di qualcuno che ci aiuti a comprendere che non è fallimentare e assurdo affidare la propria esistenza alle mani di Dio. Abbiamo bisogno di momenti, di luoghi, di occasioni per recuperare il senso di quello che siamo e di quello che facciamo. Don Orione ha cercato e trovato nella preghiera.
Non saremmo capaci di accettare un percorso di conversione senza intravedere cosa Dio vuol fare di ciascuno di noi.
Il mistero della trasfigurazione ci fa comprendere che i momenti in cui ci sembra di essere confermati nel cammino di fede, non sono concessi per vivere finalmente senza fatica e tentazione: essi sono piuttosto la forza per non venir meno lungo la strada, sono la spinta a non ritirarsi irresponsabilmente, sono il segno che la trasformazione è possibile ma attraverso un percorso lento e graduale che contempla anche i momenti di arresto.
La trasfigurazione non ci mostra un altro Gesù, ma un Gesù con un altro volto, quello della gloria, quello della fede, quello che sta dietro il volto sfigurato della fragilità e miseria umana.
È davvero questione di fede, quella fede che ha permesso a don Orione di riconoscere il suo amato Signore nella persona e nella vita dei più poveri e più sfigurati.
Lo sguardo fisso su Gesù, unico ed esclusivo amore della sua vita, gli ha consentito di scendere ripetutamente dal Tabor della contemplazione e delle consolazioni di Dio per incamminarsi al suo Calvario e per condividere quello dei fratelli, secondo la misura inaudita e stupita di un sogno che lo spingeva e lo superava.
Don Orione ci insegna che non è giusto aspettarsi che tutto si compia per credere finalmente alle promesse di Dio, ma che è piuttosto il totale abbandono a Lui, come fu quello di Abramo, a trasfigurare la realtà e a farcela cogliere nella giusta prospettiva della presenza e della salvezza di Dio.
Da qui la forza delle opere di don Orione nate dalla e nella povertà, una forza che ancora oggi dura nella testimonianza dei suoi figli, una forza che contagia anche noi e ci fa sentire l’irriducibile richiamo a fidarci di Dio e delle sue promesse.
Voglio ancora richiamare un aspetto della fede di don Orione, proprio in questi giorni in cui abbiamo ricordato il primo anniversario dell’elezione di Papa Francesco, e cioè il suo amore al Papa.
Diceva così: “Il nostro credo è il Papa; la nostra morale è il Papa; il nostro amore, il nostro cuore, la ragione della nostra vita è il Papa. Per noi il Papa è Gesù Cristo: amare il Papa e amare Gesù è la stessa cosa; ascoltare e seguire il Papa è ascoltare e seguire Gesù Cristo; servire il Papa è servire Gesù Cristo; dare la vita per il Papa è dare la vita per Gesù Cristo”.
Queste espressioni, che a qualcuno potrebbero sembrare persino esagerate, ci facciano conoscere e condividere il grande cuore di don Orione e alimentino in noi l’amore per la Chiesa di Gesù.
Alla “sua” Madonna della Guardia e a San Luigi Orione affido la nostra Chiesa di Ventimiglia – San Remo ed il mio ministero di Vescovo, notando con gioia la felice coincidenza che anch’io sono giunto in Diocesi il 9 marzo, come lui.
Ai suoi figli orionini, ai fedeli di questa Chiesa particolare e a me oggi don Orione ripete l’invito che la voce sul Tabor ha fatto risuonare per i discepoli: ascoltatelo, ascoltate Gesù.
A lui Gesù ha parlato anche attraverso i sogni.
I nostri sogni, o meglio i nostri desideri, se sono i sogni stessi di Dio, hanno tutto il diritto di essere custoditi e perseguiti. Essi pur passando attraverso il crogiolo dell’attesa e qualche volta della smentita, di certo troveranno compimento. Quando? Quando piacerà a Dio.
+ Mons. Antonio Suetta