Mons. Antonio Suetta accolto nella Concattedrale di San Siro/Il testo integrale della sua omelia

15 marzo 2014 | 17:50
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Mons. Antonio Suetta accolto nella Concattedrale di San Siro/Il testo integrale della sua omelia
Mons. Antonio Suetta accolto nella Concattedrale di San Siro/Il testo integrale della sua omelia
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Mons. Antonio Suetta accolto nella Concattedrale di San Siro/Il testo integrale della sua omelia
Mons. Antonio Suetta accolto nella Concattedrale di San Siro/Il testo integrale della sua omelia
Mons. Antonio Suetta accolto nella Concattedrale di San Siro/Il testo integrale della sua omelia

“La celebrazione di questa sera riprende il mistero e la gioia di domenica scorsa in cattedrale: sono qui infatti per rinnovare il gesto dell’”ingresso” in Diocesi anche in questa Basilica Concattedrale”

La celebrazione di questa sera riprende il mistero e la gioia di domenica scorsa in Cattedrale: sono qui infatti per rinnovare il gesto dell’”ingresso” in Diocesi anche in questa Basilica Concattedrale.
Quanto abbiamo ascoltato nella prima lettura, lo sento particolarmente vero per me ora: «Vàttene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò». Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore.
Materialmente non ho fatto molta strada, ma questa chiamata del Signore segna la mia vita; e la vostra.
Ho ripetuto più volte che mi confonde la consapevolezza della mia miseria e che sento la necessità di restare ancorato al Signore e alla sua parola per affrontare la missione affidatami.
Siamo entrati in questo cammino quaresimale con l’austero rito delle ceneri per  ricordare che solo il Signore può trarre vita dalla nostra fragilità. Lo abbiamo seguito nel deserto della tentazione. Ora ci lasciamo condurre sul Tabor per gustare qualcosa della sua bellezza, della bellezza della vita buona del vangelo.
Anche Abramo, modello di fede, ad un certo punto si è chiesto: Dio è o no dalla mia parte? 
La risposta non è scontata.
Accadrà così anche per la vicenda di Gesù: alcuni riconosceranno in lui e nella sua passione e morte la manifestazione stessa di Dio, altri ne resteranno scandalizzati. E noi? Come valuteremo la cosa? Forse, come i discepoli sul monte sentiremo la tentazione di vedere se ci saranno altri, se ci sarà qualcos’altro a sostenere la nostra fede. Ma ancora una volta resterà soltanto Gesù, un Gesù della ferialità, quello della discesa dal monte. Così impareremo a guardare a lui che ci educa nel cammino di discesa. 
Guardare a lui significa non dare precedenza alle nostre aspettative personali rispetto al progetto di Dio.
Non facciamo fatica a riconoscerci in Pietro sul Tabor che spesso parla a sproposito facendosi avanti. La tentazione di Pietro è anche la nostra: è così doloroso e difficile per noi rinunciare ai nostri criteri e impostazioni!
Pietro non comprende la portata di quella rivelazione e vorrebbe sistemarla nei suoi schemi, incurante di quanto sta accadendo lì davanti ai suoi occhi mentre Gesù è a colloquio con Mosè ed Elia. Pietro, come altre volte,  sfugge a quel Gesù che, secondo altri evangelisti, sta parlando del suo esodo, di quello che di lì a poco gli accadrà. Quanto è forte anche per noi la tentazione di scappare a quei momenti che ci pongono di fronte alla verità di noi stessi, alla verità di Dio. 
E così Pietro vorrebbe una tenda per rimanere lì! Non sapeva, infatti, quel che diceva!
La voce del Padre chiede a me, che sto compiendo i primi passi da vescovo di questa chiesa, e a tutti voi, come ai tre sul monte,  di ascoltare Gesù e di non fare cose che non hanno senso. 
Pietro che fatica a prestare ascolto, farà ancor più fatica nei giorni della passione quando, irretito nei suoi progetti e turbato dalla paura, rinnegherà e tradirà il maestro perché non comprenderà  e non condividerà le sue scelte. Pietro vorrebbe rinchiudere Dio nello spazio della sua tenda ma non ha capito che non si cammina nella fede finché non si acconsente di entrare nello spazio di Dio così come egli ha scelto di manifestarsi, ponendo la “sua tenda” in mezzo a noi.
È piuttosto impegnativo consegnarsi  al disegno di Dio. Ci sono passaggi in cui gli stessi discepoli avvertono che non basta aver lasciato tutto, lavoro, famiglia, affetti. Non basta intercettare il progetto di Dio: occorre rimanervi, accoglierlo nel più profondo, accettando di demolire l’illusione o la pretesa di conoscere già la sua volontà, quale sia la strada o il modo in cui ci chiederà di percorrerla.
Anche noi corriamo il rischio di parlare a sproposito, proprio come Pietro che fatica ad aderire a Gesù, preso com’era dallo spavento. 
Nonostante l’intuizione giusta, è sempre così difficile poi consegnarsi nelle mani di Dio, avere occhi e cuore sempre pronti, lasciarci sorprendere continuamente da lui. 
Ma è proprio ciò che continuamente egli ci chiede: lasciarci guidare ancora da lui, anche quando tutto sembra misterioso e incomprensibile per la nostra logica.
Siamo chiamati a riconoscere ed accogliere tutta la nostra distanza da Dio e dal suo modo di vedere le cose. 
Per Abramo, che aveva obbedito all’invito di partire, la nascita di un figlio insperato sembrava una prova, il compimento definitivo di una promessa. E, ad un tratto, tutto è stato di nuovo messo in discussione, quando Dio gli ha chiesto, senza dare spiegazioni, di sacrificargli proprio quel figlio.
Può Dio distruggere il suo progetto? Abramo, nostro padre nella fede, si fida e scopre che il monte della prova, là dove tutto sembra finire tragicamente, diventa il luogo della benedizione.
Secondo Pietro il Tabor doveva diventare dimora definitiva di pace e di gioia. Cosa desiderare di più? 
Gesù invece indica un altro monte dove tutto sembrerà finire tragicamente, e dove invece Dio rivelerà tutta la grandezza del suo amore.
Oggi Gesù ci ha portato sul monte della trasfigurazione per farci comprendere che solitudine, abbandono, fallimento non sono il segno di una vita fallita.
Impariamo a non distogliere gli occhi da Gesù solo, da quello che dice, da quello che fa, da come si comporta.
Scopriremo così la presenza di Dio là dove non ce lo saremmo mai aspettato. 
Sul monte si impara che la fedeltà a Dio risplende quando accettiamo di mettere in discussione l’ostinato attaccamento ai nostri progetti. Fedeltà a quello che ci chiede, non già a quello che avevamo immaginato, anche se ci sembrerà di perdere. Con Dio sempre si vince arrendendosi.
Abramo ha capito che il voler bene al figlio Isacco si consolidava nella fiducia in Dio. Gesù, sulla croce, perderà e morirà scegliendo la fedeltà al Padre e a noi rispetto alle logiche apparentemente vincenti del divisore. E così sconfiggerà il male e la morte bevendo fino in fondo il calice della fedeltà di Dio.
La fedeltà passa attraverso il silenzio e l’ascolto: nel silenzio e nell’ascolto, come ha fatto Colei che custodiva tutto nel suo cuore, adagio adagio impariamo a mettere insieme le tessere più disparate del mosaico della nostra vita. Evitiamo di dire cose insensate come Pietro: l’ascolto come capacità di accoglienza del Signore e di obbedienza alla sua volontà ci aprirà alla conoscenza di lui e all’esperienza gioiosa delle meraviglie.
Pregate per me affinché sia un buon vescovo, fedele a Colui che mi ha chiamato e a questa splendida sposa, che mi ha dato. Spero di poter sempre anch’io condensare il mio servizio pastorale con le parole che Paolo scriveva ai corinti: “… quando venni tra voi, non mi presentai ad annunziarvi la testimonianza di Dio con sublimità di parola o di sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso.
Io venni in mezzo a voi in debolezza e con molto timore e trepidazione; e la mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio” (1 Cor 2,1-5).

+ Mons. Antonio Suetta