Gli aranceti, ovvero quando la Liguria era un giardino

12 gennaio 2014 | 17:41
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Gli aranceti, ovvero quando la Liguria era un giardino

“Gli aranceti, ma anche gli alberi di pesco e di mela (le piccole mele “carle”, tant’è che ad una bella ragazza si diceva “ti sei gianca e russa cumme ‘na mela carla”, sei bianca e rossa come una mela carla), costituivano un patrimonio inestimabile”

Gli aranceti, ma anche gli alberi di pesco e di mela (le cosiddette piccole mele "carle", tant’è che ad una bella ragazza si diceva "ti sei gianca e russa cumme ‘na mela carla", sei bianca e rossa come una mela carla), costituivano un patrimonio inestimabile per la Liguria e soprattutto per la Riviera di Ponente, accanto alle piantagioni a perdifiato di carciofi e di altre colture del territorio, oggi pressoché scomparse, nonostante qualche tentativo di resuscitarle come avviene nel savonese con il bergamotto e da qualche altra parte, in misura minore, con il cedro. Gli aranceti furono un’importante caratteristica della Liguria fin dal XIV secolo ed ebbero una grande estensione nel XVI e nel XVII secolo, prima che la concorrenza meridionale li riducesse ai minimi della prima metà del XX secolo, quando peraltro rappresentavano ancora una straordinaria risorsa non solo commerciale anche per la suggestione di colori che suscitava nel contesto
di giardini da sogno dai mille colori (di lì venne in seguito il nome di Riviera dei Fiori, per l’affermarsi e poi il progressivo declino delle coltivazioni di fiori)). Non soltanto nel Ponente (da Ventimiglia a Sanremo, nel dianese, a Laigueglia, Alassio e nella piana di Albenga fino a
Loano, Finale e il comprensorio savonese), ma anche nel Levante (Santa Margherita e a Chiavari, dove erano molto diffusi al punto che in
quest’ultima cittadina il quartiere a ponente, Fara, ha conservato il nome di Gli Aranceti. Quell’indimenticabile stagione della Riviera entrò in crisi di fronte allo sviluppo urbanistico, ma anche e in misura maggiore a causa della globalizzazione dei mercati, una minaccia che rischia di attaccare l’ultimo grande tesoro di questa terra, l’ulivo.

Pierluigi Casalino