Gli Arabi in Liguria

13 gennaio 2014 | 20:11
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Gli Arabi in Liguria

Gli Arabi portarono in Liguria il pero, il susino, il grano saraceno, il mulino ad acqua e la ceramica. Com’è noto il termine articiocca deriva dall’arabo dall’arabo “spina della terra” (ard, terra;sciau, spina)

Gli Arabi sono sempre stati dei vagabondi e hanno frequentato le coste liguri nel passato come predoni, mentre oggi (ma con la crisi anche tale fenomeno è in via di ridimensionamento) costituiscono una manodopera a buon mercato (o esercitano il mestiere di venditori ambulanti, subendo ormai la concorrenza di altri stranieri, quali africani,bengalesi o pakistani); si individua tra loro anche qualche tipo di timida immigrazione intellettuale prima sconosciuta. Dal VII secolo in poi, gli Arabi hanno viaggiato per le varie parti del mondo (si ricordi il grande Ibn Battuta, noto per essere il Marco Polo arabo), al fine di esportare l’Islam dalla Penisola Araba verso Oriente (Mesopotamia, Iran, India, Insulindia o Indonesia e dintorni) e verso Occidente (Siria, Libano, Palestina, Nord Africa, Spagna fino ai Pirenei, Sicilia e Balcani). Nel dialetto ligure molti termini derivano dall’arabo e la cosa non ci stupisce considerati i fitti rapporti fra i liguri e le coste settentrionali dell’Africa. Alcuni esempi di parole, su un’infinità, l’aggettivo "meschin", che è anche parola italiana (meschino, poverino), una volta cambiata grafia, per gli italiani incomprensibile, è letteralmente uguale. I sostantivi arabi "halla" (zia materna) e "mandil" corrispondono ai vocaboili liguri lalla (zia) e mandillo (fazzoletto per asciugarsi il naso). Il verbo arabo "himal", che significa trasportare
faticando (ma anche lavorare) è in genovese camallà cioè fare il facchino, da cui camallo. Il tradizionale macramè deriva anch’esso dall’arabo e sta a significare frangia con nodi così come mezzaro significa velo. Nei dialetti liguri, soprattutto di ponente (vedi soprattutto – ma non solo -Voci Orientali nei dialetti di Liguria del Professor Lorenzo Lanteri) abbondano parole arabe in ogni aspetto della vita associata e delle terminologie quotidiane e/ gastronomiche, ma la trattazione diventa lunga e complessa).

La parola genovese fardo, che ha il suo equivalente nell’italiano fardello, trae origine dall’arabo farad, che significa peso, obbligo (radice trisillaba o trilittera, come si sa dallo studio della lingua arabaclassica, che significa imporre). I noti fondaci genovesi, nei quali
vivevano vere e proprie colonie, non erano altro che la traduzione in arabo della parola "albergo", famiglia in senso lato, anzi meglio famiglie o gruppi di famiglie: infatti fondaco deriva dall’arabo "funduk". Gli Arabi portarono in Liguria il pero, il susino, il grano saraceno, il mulino ad acqua e la ceramica. Com’è noto il termine articiocca deriva dall’arabo dall’arabo "spina della terra" (ard, terra;sciau, spina). Si tratta di una forma di globalizzazione ante-litteram che conferma l’unicità della civiltà mediterranea, le cui parti che non si limitarono al confronto armato, ma si intrecciarono nel campo commerciale e ancor più in quello culturale: la filosofia araba fu infatti alla base della moderna Europa intellettuale.

PIerluigi Casalino