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Al “Te Deum” di fine anno nella concattedrale di San Siro

31 dicembre 2013 | 21:16
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Al “Te Deum” di fine anno nella concattedrale di San Siro

Un’antica consuetudine porta i fedeli a cantare, alla fine dell’anno civile, il Te Deum come ringraziamento a Dio per tutti i benefici ricevuti in questo periodo

Un’antica consuetudine porta i fedeli a cantare, alla fine dell’anno civile, il Te Deum come ringraziamento a Dio per tutti i benefici ricevuti in questo periodo. Non dobbiamo sottrarci al senso della fede che ci spinge ad innalzare sempre lo guardo in alto, al Padre di misericordia, al datore di ogni bene: «Che cosa possiedi che tu non l’abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto?» scrive San Paolo ai Corinzi (1 Cor 4,7). Ma, con lo sguardo rivolto ai beni accordati, dobbiamo pure saperci liberare dalle meschinità della vita, «per non diventare idolatri», abbandonandoci all’impurità e attirandoci le conseguenze nefaste della “fine dei tempi”, come l’Apostolo ancora scriveva nella sua lettera, con la severa ammonizione: «Chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere» (cfr 1 Cor 10, 8-12)

Nonostante tutto, abbiamo sempre mille motivi per ringraziare Dio dei benefici ricevuti, tanto a livello personale, quanto sociale. Dio è sempre buono e misericordioso: non ha ancora pronunciato la parola “fine” alla tragicommedia umana. Tuttavia sono molti quelli che s’interrogano su che cosa potrà mai accadere a questo mondo, impazzito come una navicella spaziale non più sotto controllo.
Non occorre dimostrare che l’umanità stia perdendo il senso del vivere. Non dovremmo, infatti, avere occhi per vedere, né orecchie per sentire, né TV, o giornali da leggere. È in atto uno scollamento, sempre più evidente, dell’uomo da Dio. Si tratta di una vera e propria sfida contro di Lui. Avanza, nella mentalità corrente e nell’insegnamento, un’antropologia tesa a non riconoscere più l’uomo come una creatura superiore a tutto l’universo. Le si nega tanto l’anima spirituale, quanto un’intelligenza capace di pensare, discernere e organizzare i valori dell’esistenza. Si considera più preziosa e importante la vita di un cane che quella di un uomo. “Criminale” infatti è stato definito, giorni fa in TV, chi abbandona un cane – cosa non da farsi, certamente – ma quanti si sdegnano ancora di fronte alle migliaia e migliaia di aborti, alle guerre spaventose che martoriano il pianeta? Ai milioni di bambini in povertà inammissibile, e via dicendo? E per il fiume di droga, che si riversa sulle nostre strade con l’esito di avere sempre più giovani cervelli spappolati, che cosa si fa? Sono sufficienti gl’interventi dei tutori dell’ordine pubblico? Il pirata di strada, seppure denunciato, cammina a piede libero. Infine, domandiamoci: per quali ideali vive quella gran parte di gioventù, oggi sfruttata e disorientata, che ama la trasgressione e le notti da sballo? E che cosa dire ancora dello sfacelo della famiglia, considerata ormai un affare del tutto privato e gestibile a piacimento?

Non è questa la sera per proseguire nella denuncia della parte malata della società che produce effetti devastanti tanto sulle singole persone, quanto su tutto il vivere sociale. Dico volontariamente “parte” perché la maggioranza della gente segue altre strade. Vive nell’ombra, purtroppo, ma dice di no al mondo tenebroso e spaventoso del peccato. Tali aggettivi li usava Paolo VI nel descrivere gli effetti di Satana.

Si legge nel libro del profeta Isaia: «Il Signore consola il suo popolo e ha misericordia dei suoi poveri» (Is 49,13). Ci fanno bene anche le parole del libro delle Lamentazioni: «Le grazie del Signore, non sono finite, non sono esaurite le sue misericordie. Si rinnovano ogni mattina, grande è la sua fedeltà … È bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore» (Lam 3,17.21-23.26).
A tutti quelli che vivono nell’angoscia e nella paura di un futuro incerto, che sono scossi dalla violenza che li circonda e li penetra, di fronte all’assenza di ragioni che nutrano la speranza, il profeta Isaia ci incoraggia e ci affida il dovere di parlare: «Irrobustite le mani fiacche… Dite agli smarriti di cuore: “Coraggio! Non temete; ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi”» (Is 35, 3-4). Fa eco a queste parole l’autore del libro delle Lamentazioni: «Questo intendo richiamare al mio cuore, e per questo voglio riprendere speranza. Le grazie del Signore, non sono finite, non sono esaurite le sue misericordie. Si rinnovano ogni mattina, grande è la sua fedeltà … È bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore» (Lam 3,21-23.26). Dobbiamo pertanto ritenere che quanto fra le cose umane sembra perturbato e in disordine non solo non accade senza alcun motivo, ma rientra in un disegno più elevato, nell’ordine stabilito da Dio, sempre superiore ad una comprensione umana.
Tra tante citazioni bibliche perché non richiamare anche quanto affermava Papa Francesco nell’omelia pronunciata nella Festa della Misericordia dell’8 aprile scorso? «Dio è paziente con noi perché ci ama, – ebbe a dire – e chi ama comprende, spera, dà fiducia, non abbandona, non taglia i ponti, sa perdonare. Ricordiamolo nella nostra vita di cristiani: Dio ci aspetta sempre, anche quando ci siamo allontanati! Lui non è mai lontano, e se torniamo a Lui, è pronto ad abbracciarci». L’invito finale che il Papa faceva era di lasciarsi avvolgere dalla misericordia di Dio: «Confidiamo nella sua pazienza che sempre ci dà tempo; abbiamo il coraggio di tornare nella sua casa, di dimorare nelle ferite del suo amore, lasciandoci amare da Lui, di incontrare la sua misericordia nei Sacramenti. Sentiremo la sua tenerezza, sentiremo il suo abbraccio e saremo anche noi più capaci di misericordia, di pazienza, di perdono, di amore».

Certamente, qualcuno potrebbe dire che tutto questo va bene per le singole persone, ma la società continuerà a peggiorare. Avrebbe pienamente ragione se l’amore di Dio per le sue creature si fosse spento, ma non è così. Avrebbe ragione se i credenti e gli uomini di buona volontà rinunciassero ad essere lievito buono nella massa informe. «Non lasciamoci rubare la speranza!», ammonisce il Santo Padre nell’Esortazione Apostolica Evangelii Lumen (EG, 86). Altrettanto afferma: «Non lasciamoci rubare la comunità», nel senso che la Chiesa è chiamata ad essere sale della terra e luce del mondo (cfr EG, 91).
A conferma di questa appartenenza «che sa aprire il cuore all’amore di Dio per cercare la felicità degli altri» (ivi, 91), va ripetuto che molte sono le tracce luminose che emergono a rischiarare il cammino: sono i gesti e le parole di quanti operano il bene, sono i volti di coloro che si mantengono fedeli alla vita, è la fiducia che persiste contro ogni speranza umana, sono i passi di chi percorre le vie della riconciliazione e della pace. È la luce che promana dalla grotta di Betlemme; è la forza che viene dall’Emmanuele, il Dio con Noi, è lo sguardo premuroso di una Madre, Maria Madre di Cristo, Madre della Chiesa e Madre spirituale di ciascuno di noi.
Gesù è e sarà sempre Luce nelle tenebre, Guida ai nostri passi, Pace ai nostri cuori. Con la gioia di questa certezza salutiamo il Nuovo Anno, consapevoli che il Padre dei cieli non lascerà mai mancare nulla ai suoi figli che lo invocano con fiducia e speranza.