Si chiude questo pomeriggio in Cattedrale a Ventimiglia l’Anno della Fede

24 novembre 2013 | 14:48
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Si chiude questo pomeriggio in Cattedrale a Ventimiglia l’Anno della Fede

Non si tratta un triste commiato, ma di una sosta in cui fermarsi a riflettere e Mons. Vescovo ha posto alcune domande importanti alla riflessione dei presenti

Si sta celebrando nella Cattedrale di Ventimiglia la Solenne Eucaristia a chiusura dell’Anno della Fede.
Non un triste commiato, ma una sosta in cui fermarsi a riflettere.
Mons. Vescovo ha posto alcune domande importanti alla riflessione  dei presenti: “Abbiamo ritrovato il gusto di nutrirci della parola di Dio? La viviamo come “luce ai nostri passi”? È  scritto che il “giusto vive di fede”: ma siamo veramente uomini di fede, uomini di Dio? La testimoniamo, questa fede? Siamo coraggiosi? Siamo visibili? Oppure, la codardia ci fa assumere abiti tanto borghesi da non essere più riconoscibili?".
Più volte, citando la lettera pastorale che è stata distribuita oggi il Pastore della Diocesi ha ripetuto di il dover
raccomandare a tutti di Non chiudere la porta in faccia, né a Gesù Cristo, distogliendo il nostro cuore da Lui, né ai  nostri fratelli che aspettano, da chi si professa cristiano, esempi di vita concreti e credibili.
All’inizio della celebrazione si è compiuta l’aspersione con l’acqua benedetta a ricordo del battesimo ricevuto. Al termine una breve fiaccolata per le vie della Città ha richiamato al dovere della testimonianza.
Anche la reliquia di San Secondo solennemente esposta ha voluto esprimere come la Fede che abbiamo ricevuto sia frutto del sacrificio di molti, che non hanno avuto paura di testimoniare Cristo.

Di seguito l’Omelia che S.E. Mons. Alberto Maria Careggio sta proponendo ai fedeli nella solennità di Cristo Re.

NELLA SOLENNITÀ DI CRISTO RE
Non chiudere la porta in faccia
Ventimiglia, Cattedrale, 24 novembre 2013

L’11 ottobre dello scorso anno, nella concattedrale di San Siro, per volere di Benedetto XVI celebravamo l’inizio del  cosiddetto “Anno della Fede”; oggi, in questa Cattedrale, ne celebriamo la “chiusura”, usando un termine specifico per  gli Anni Santi. Sarebbe fuorviante se fosse mal interpretato perché il cammino della fede non termina che in cielo.  Fintantoché siamo su questa terra, la Fede, questa porta che introduce alla vita di comunione con Dio e permette  l’ingresso nella sua Chiesa, non può mai considerarsi chiusa: è sempre aperta per noi, come scriveva Benedetto XVI  nella Lettera apostolica di indizione Porta Fidei. Alla luce di queste considerazioni, ho pertanto preferito dare alla  mia breve Lettera pastorale questo titolo: Non chiudere la porta in faccia.
    Soffermandoci sul tema della fede, ognuno dei presenti potrebbe dire: “Io, la fede, la posseggo”. A tale dichiarazione bisognerebbe rispondere: “Se davvero la possiedi, allora fai attenzione: la potresti perdere; ti  potresti anche dannare, se ti lasciassi prendere dal risucchio di una vita senza senso e senza luce”. Per questo, nella sua Lettera di indizione – da leggere e rileggere ancora più volte – Papa Benedetto scriveva : Non possiamo accettare che il sale diventi insipido e la luce sia tenuta nascosta (n 2). Dopo un anno, se frutti di grazia ci sono stati, – ne ringrazio molto il Signore –  circa il rischio di vivere lontani da Dio nulla è cambiato. Occorre,  pertanto, non pensare mai la fede solo come “un presupposto del vivere comune” e, di conseguenza, non lasciarsi  guidare da essa in tutte le nostre attività, in tutte le nostre scelte, tanto come singole persone, tanto come membri della Chiesa.
    Alcune domande sono perciò necessarie sugli obiettivi che il Santo Padre si prefiggeva di raggiungere in questo Anno della Fede. Dobbiamo domandarci: “Abbiamo ritrovato il gusto di nutrirci della parola di Dio? La viviamo come “luce ai nostri passi”? È scritto che il “giusto vive di fede”: ma siamo veramente uomini di fede, uomini di Dio? La testimoniamo, questa fede? Siamo coraggiosi? Siamo visibili? Oppure, la codardia ci fa assumere abiti tanto borghesi da non essere più riconoscibili?.
Quanti cristiani, anziché essere “figli della luce”, sono “figli delle tenebre”! Forse pregheranno pure e anche qualche comandamento di Dio sarà osservato, ma tutto fatto con gli opportuni compromessi, tanto sono preoccupati di tenere i piedi in due staffe per non perdere le giuste occasioni. Questo non è soltanto l’atteggiamento classico di molti politici, ma anche del vivere quotidiano di molta gente che vive come se Dio non esistesse. Il mimetismo nella fede è il tradimento più vigliacco che esista. Il pretendere di essere nella Chiesa combattendola alle spalle, credersi un giusto, voler apparire un buon cristiano e non esserlo, questo è tradire Gesù Cristo, è un chiuderGli la porta un faccia. Contro costoro sentenzia Gesù nella famosa parabola delle vergini stolte: non hanno parte al Regno dei cieli. In verità io vi dico: non vi conosco (cfr Mt 25,13).
    Basterà allora, come spesso succede nelle nostre liturgie e para liturgie, ripetere l’accensione simbolica di una candelina? Certamente no. Non si deve giocare col fuoco, come da bambini. Il rito simbolico, che tra poco faremo, è un invito ad agire con coerenza tra il fare e il pensare: Agere sequitur esse, dicevano gli antichi. Tu, pertanto, cristiano battezzato, se vuoi essere un uomo di fede, devi agire, per quello che sei; comportarti da cristiano sempre e dappertutto, sii amico fedele e sincero di Gesù. Se poi, com’è veramente, la Chiesa è stata fondata da Pietro, costruita sul fondamento degli Apostoli, è un dovere credere in essa e ascoltarne il Magistero autorevole. La Chiesa è “una, santa, cattolica, apostolica” perché così l’ha voluta il santo Fondatore. Chi la rende bisognevole di purificazione sono tutti i nostri peccati, i nostri tradimenti, le nostre infedeltà.   Che dire al termine di queste riflessioni? Nulla, se non il dover raccomandare a tutti di Non chiudere la porta in faccia, né a Gesù Cristo, distogliendo il nostro cuore da Lui, né ai nostri fratelli che aspettano, da chi si
professa cristiano, esempi di vita concreti e credibili.
L’uomo di oggi è un uomo smarrito, incapace di riflessione, distratto perché troppo impegnato in tantissime cose che lo distolgono totalmente dal punto centrale della vita, ossia Dio, l’aldilà, il senso vero e ultimo dell’esistenza. Bisogna risvegliare in questi “dormienti” il trascendente, il senso del sacro che tutti, in qualche modo, portano dentro. Per molti si tratterà di risvegliare il Battesimo, rimasto un fatto secondario e insignificante; per tutti – lo ripeto – si tratta di riscoprire Gesù Cristo.
Questo è l’impegno che la nostra Diocesi deve sentire come prioritario. Lo raccomando soprattutto ai sacerdoti, i primi responsabili delle loro comunità come pastori “propri”. Lo dico ai gruppi laicali che devono sentirsi vincolati agli orientamenti pastorali della Chiesa diocesana nella quale vivono. Il Magistero autorevole di questi decenni sta insistendo perché la cosiddetta “Nuova evangelizzazione”, decolli. Ma con quanta difficoltà è accolta dagli operatori pastorali, dimenticando che specialmente gli ultimi tre Papi ne hanno fatto uno degli obiettivi principali del magistero pontificio.
Il beato Giovanni Paolo II, sulle orme di Paolo VI, nell’Esortazione post sinodale Christifideles laici, la presentava con queste motivazioni: La Fede cristiana, se pure sopravvive in alcune sue manifestazioni tradizionali e ritualistiche, tende ad essere sradicata dai momenti più significativi dell’esistenza, quali sono i momenti del nascere, del soffrire e del morire. … In altre regioni o nazioni, – sono soprattutto le nostre – invece, si conservano tuttora molto vive tradizioni di pietà e di religiosità popolare cristiana; ma questo patrimonio morale e spirituale rischia oggi d’essere disperso sotto l’impatto di molteplici processi, tra i quali emergono la secolarizzazione e la diffusione delle sette. Solo una nuova evangelizzazione può assicurare la crescita di una Fede limpida e profonda, capace di fare di queste tradizioni una forza di autentica libertà. Certamente – concludeva il Papa – urge dovunque rifare il tessuto cristiano della società umana. Ma la condizione è che si rifaccia il tessuto cristiano delle stesse comunità ecclesiali che vivono in questi paesi e in queste nazioni (n. 34).
Benedetto XVI, a sua volta, nella Lettera apostolica Ubicumque et semper sottolineava con ragionevole opportunità di offrire delle risposte adeguate perché la Chiesa intera si presenti al mondo contemporaneo con uno slancio missionario in grado di promuovere una nuova evangelizzazione. È sempre necessario precisare che l’aggettivo “nuova” ha una sua ragionevolezza e non intacca affatto la verità rivelata. Il fatto che la si chiami "nuova" non intende qualificare i contenuti dell’evangelizzazione, ma sottolineare la condizione e le modalità in cui essa viene fatta. Non mancano, infatti, quelli che si fermano al fenomeno sociologico, preso nella sua frammentarietà, dimenticando che la Chiesa presenta tratti di santità costante e di straordinarie testimonianze credibili. Il martirio di molti cristiani di oggi non è diverso da quello offerto nel corso dei secoli passati, eppure è veramente “nuovo” perché provoca gli uomini del nostro tempo, spesso indifferenti a riflettere sul senso della vita e sul dono della Fede.
Nel voler scendere al concreto e per stare agli obiettivi di Benedetto XVI, sarebbe felice la nostra Diocesi se  s’impegnasse concretamente in questi tre settori della vita cristiana:
Il primo: offrire ai cosiddetti “smarriti di cuore” risposte adeguate. Tanto i fedeli, quanto i sacerdoti, devono mettersi al servizio dell’uomo in ricerca, e proporre la bella notizia che la Chiesa annuncia, quella che gli porta
serenità, gioia e salvezza. Il risultato non mancherà se, accanto ad una buona predicazione, vi sarà pure una buona e qualificata catechesi sia agli adulti, sia ai ragazzi.
Il secondo è impegnarsi in un nuovo slancio missionario che deve essere concreto, convincente, propositivo, senza esclusione di nessuno. Bisogna superare l’errore fatto nel passato anche da molti laici, seppure impegnati in attività pastorali, pensando che l’annuncio esplicito non fosse più necessario, ma fosse sufficiente la semplice testimonianza di vita. Consapevole che la Fede proviene dall’ascolto della parola di Dio, Paolo VI, ai pellegrini presenti in un’udienza generale diceva: La Fede ha bisogno del maestro. Cioè d’un insegnamento e di uno studio. Se non si riesce a stabilire un rapporto normale e sufficiente tra il maestro della Fede e il discepolo, la Fede o non nasce o non resiste nel cuore e nella vita del discepolo… L’insegnamento religioso è indispensabile; tante volte si ripete questo
principio; bisogna prenderlo sul serio (Udienza generale, 31 maggio 1967).
Il terzo riguarda i nuovi impulsi di evangelizzazione che consistono nell’avvicinare l’uomo di oggi con un linguaggio e metodi comprensibili. Occorre aprire la "gabbia” di una pastorale vetusta. Lo è quando è lontana dalla vita della nostra gente. Occorre, pertanto, favorire una comunicazione efficace e feconda. Lo so che non è facile. Ma se gli antichi dicevano che poeti si nasce, oratori, cioè evangelizzatori convinti e convincenti, si diventa.
    Concludo citando ancora Benedetto XVI il quale, dopo aver sottolineato che La Chiesa esiste per evangelizzare, affermò: Anche nei nostri tempi lo Spirito Santo ha suscitato nella Chiesa un nuovo slancio per annunciare la Buona Notizia, un dinamismo spirituale e pastorale che ha trovato la sua espressione più universale e il suo impulso più autorevole nel Concilio Ecumenico Vaticano II (Discorso di apertura della XIII Assemblea generale dei Vescovi, 8 ottobre 1912). Avremmo il coraggio di confutare queste autorevoli affermazioni del Papa? Se così fosse, sarebbe un uscire dalla comunione ecclesiale. Dopo cinquant’anni, il Concilio va dunque ripreso dai sacerdoti e dai fedeli: il beneficio ne sarà sorprendente, ritornando in tutti quella giovinezza dello Spirito tanto auspicata dai nostri Pontefici.

Cari fedeli, viviamo con gioia e speranza la nostra fede. Amiamo con tutte le forze Gesù e la sua Chiesa.
Questa è l’unica strada che permette di costruire il Regno di Cristo, regno di verità, di giustizia, di amore e di pace.

 + Alberto Maria Careggio