Arte al Casinò, Paolo Anselmo con “Domino di Noè” e il gruppo Kapra con “Lune” e “Notturni”

18 giugno 2013 | 13:11
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Arte al Casinò, Paolo Anselmo con “Domino di Noè” e il gruppo Kapra con “Lune” e “Notturni”
Arte al Casinò, Paolo Anselmo con “Domino di Noè” e il gruppo Kapra con “Lune” e “Notturni”
Arte al Casinò, Paolo Anselmo con “Domino di Noè” e il gruppo Kapra con “Lune” e “Notturni”

Paolo Anselmo è alla prima esposizione nel Casinò sanremese. La mostra “Lune, Notturni, Domino” , un secondo appuntamento per il pubblico del Casinò di Sanremo, dopo l’esposizione “L’equilibrio della diversità” del gruppo Kapra

Sala hall come un’ala di un museo, dove il visitatore si trova di fronte a tre diversi momenti di grande peso artistico. “Domino di Noè” di Paolo Anselmo “Lune” e “Notturni” del gruppo kapra , momenti artistici creati in collaborazione con il circolo Amici di Albisola e con la Fondazione 100 fiori di Savona.

Paolo Anselmo alla prima esposizione nel Casinò sanremese ha voluto partecipare con una creazione dall’impatto particolarmente pregnante, assai apprezzata nella recente esposizione a Palazzo Ducale a Genova. Ha scritto di lui Silvio Riolfo Marengo:

“… quel mito del diluvio universale che informa l ’epopea assiro- babilonese di Gilgamesh, tocca le sponde della Grecia attraverso le avventure di Pirra e Deucalione, prosegue col racconto biblico di Noè e giunge in India dove Vishnu, incarnandosi in forma di pesce, salva Manu, il capostipite dell’umanità, in vetta all’Himalaya.

Nel suo Domino di Noè, Anselmo prende spunto da questa leggenda antichissima , ma lo fa traguardando a suo modo la più viva contemporaneità perché mette in scena la viva rappresentazione della corsa verso l’arca della salvezza di ieri e di oggi. A sottrarsi alla furia delle acque è una nuova serie di creature animali, o per meglio dire, di creature tout court: un coccodrillo, un geco, un iperbolico essere sconosciuto ( o forse ancora da scoprire negli bissi marini e nelle foreste più impenetrabili del pianeta) che insieme a quaranta animaletti che, accoppiati due a due, a partire dai più minuscoli, cercano di mettersi in salvo. E , attraverso la loro fuga disperata, diventano il simbolo del ciclo di distruzione – rigenerazione che affiora alla coscienza ogni volta che le creature tutte, come accade anche oggi, cercano di mettersi in salvo quando l’ambiente che le ha nutrite viene devastato da una catastrofe naturale imprevedibile o da un’altra ben più grave e prevedibile, indotta dall’uomo.

Lo storico dell’arte Federica Flore così conduce il visitatore ad apprezzare le esposizioni.

“La mostra “Lune, Notturni, Domino” può considerarsi come un secondo appuntamento per il pubblico del Casinò di Sanremo, dopo l’esposizione “L’equilibrio della diversità” del gruppo Kapra.

Puntando sulla ceramica, come materiale di riferimento del territorio ligure, in particolare della zona di Albissola e Albisola Marina, questa volta si è deciso di declinare i valori plastici, tipici della materia, anche in pittura, assimilando tecniche e colori in un percorso espositivo che avesse il tema romantico della Natura, interpretata attraverso Realtà e Mito.

Ripetere <> diventa necessario ai fini di una comprensione di più alto livello delle opere oggi esposte in questo contesto.

Scultura ceramica e pittura a confronto rivelano al pubblico molteplici punti di vista da assaporare con meraviglia durante il percorso diviso in tre sezioni: le Lune, i Notturni, il Domino di Noè.

Nella prima sala accolgono lo spettatore le quattro lune, del diametro di 33 cm ciascuna, di Carlo Sipsz, di Aldo Pagliaro, di Ylli Plaka e di Giacomo Lusso, tutte caratterizzate dallo spirito polivalente del Gruppo Kapra, da loro formato, e dalla composizione asimmetrica delle opere, per questo ancor più piacevoli. Il gruppo dimostra ancora una volta la propria attrazione magnetica nei confronti della sperimentazione: una vocazione, la loro, per il confronto, lo scambio e infine per la coerente diversità.

Carlo Sipsz “vede rosso” anche quando guarda la luna. I colori predominanti, infatti, sono il rosso e il giallo, che riportano il satellite ad una dimensione terrestre. L’artista, infatti, ricorda al pubblico che anche la luna è un pianeta e come tale può essere squartato, studiato fino a quando se ne troveranno tracce, la trasforma in un fossile e in tal modo calpesta le distanze, per avvicinarla a chi la guarda di solito da lontano, come se non facesse parte dello stesso sistema nel quale anche l’uomo, seppur sulla terra, si trova.
E’ questa immagine che ci riporta nell’immediato alla poetica di Aldo Pagliaro. Chi conosce le sue opere, ben sa che ogni produzione per l’artista è una battaglia contro il tempo. Pagliaro, infatti, dopo aver messo in mostra una terra malata, che soffre, qui considera la luna, non ancora coinvolta dal disastro ambientale, ma che si presta a farlo. La vicinanza, l’attrazione che la lega alla Terra e quindi all’Uomo segna un futuro incerto, ma la luminosità dell’opera ci fa comprendere che per l’artista c’è ancora speranza.
Se dovessimo pensare alla ceramica come ad un suono, con Sipsz e Pagliaro ascolteremmo le performance dissonanti di John Cage; ma con Giacomo Lusso e Ylli Plaka la musica cambia.
La luna di Ylli Plaka è semplice nelle forme, dai colori quasi realistici. L’opera, infatti, va gustata per la sua esemplare qualità creativa e consapevolezza nell’uso della materia. Il tempo si ferma, il ritmo si placa, la grazia riappare in un profilo, dove la luna è donna. Onirico lo sguado che fa entrare il pubblico nell’intimo dell’artista con serenità. La serenità di un viaggio, di un simbolo, quello della luce che il fuoco possiede.
E’ la luna di Giacomo Lusso, segnata da un orizzonte alto, dato dalla conoscenza, che contraddistingue ogni sua opera. Un paesaggio di simboli, ormai da anni la firma dell’artista, dove eterea diventa l’idea di una luna realistica e una luna di fuoco.

Da Leopardi a D’Annunzio. La seconda sala ospita sei pittori inseriti in un contesto irriverente, come solo la notte può essere. “Notturni” è la sezione pittorica della mostra e forse anche la più variegata, per stile e interpretazione.
Assaporare i sei dipinti nel loro insieme è un consiglio, ma ognuno di essi è in realtà una porta su un mondo, che solo una lenta lettura dell’opera singolarmente può aprire.
Claudio Carrieri è evidentemente ispirato dai grandi personaggi della storia dell’arte: Paul Klee, Vasilij Kandiskij, Vincent Van Gogh. In questo cielo, predominante nel dipinto, inserisce il ritmo dionisiaco di Chopin; mentre il paesaggio, nella parte inferiore, è strettamente legato ad una costa ligure, impervia, ma unica.
Jorge Felix Diaz scatena la geometria delle forme in una forte ed intensa pittura di ritorno alle Avanguardie storiche. Tensione e decisione sono le caratteristiche dell’opera. Due figure chiave da interpretare nella tensione di una passione simboleggiata dal rosso materico, che apre una ferita al centro del quadro.
Cristina Di Perna interpreta il tema del notturno come se volesse spiegare al pubblico la teoria fisica dell’attrazione magnetica. Lo sguardo della protagonista, i capelli, la tecnica pittorica rappresentano questo fenomeno e al pubblico non rimane altro che rimanere incollato alla tela.
L’opera di Elena Frontero è poesia. E’ semplicemente una ricostruzione grafico-pittorica delle parole neogotiche di Edgar Allan Poe. Oscura, tra le tenebre, si intravede l’architettura sacra di qualche cattedrale, dove la luce entra a malapena da fuori. E l’occhio, qui, vuole la sua parte; mentre racconta al pubblico quali segreti può nascondere la notte.
L’esperienza di un pittore come Carlo Giusto ci permette di cogliere un duplice aspetto dell’opera in mostra. Equilibrio nelle geometrie e nell’assemblare i colori, il dipinto diventa pretesto per scorgere nel paesaggio di una luna nera anche il ritratto di una donna. Di quelle donne anni ’20, con cappellini alla moda ed eleganti vestiti asciutti.
Infine Stefano Pachì intrpreta la notte come un momento di libertà, di passione, di forza e ritmo. A differenza degli altri dipinti in mostra, qui l’artista esalta la luce, forse quella di un fuoco. Cavalli imbizzarriti rappresentano, come è successo per Boccioni nella Città che sale, l’inesorabile e indomabile natura, dove l’uomo non deve apparire.

L’ultima sezione della mostra è dedicata tutta ad un unico artista, Paolo Anselmo. La sua installazione “Domino di Noè” racchiude la storia dell’evoluzione umana, ma attraverso l’originale reinterpretazione dell’arca di Noè. Coppie di animali legati al Mito, dove la loro natura si colloca tra cinici incroci di una specie con l’altra, migrano con un certo ritmo, messo in evidenza dall’artista anche dall’uso di piastrelle bianche e nere – i tasti di un piano, forse? -, verso la salvezza sicura: l’arca, già avvolta nella tempesta.
Introspettivo, nuovo e atavico sono gli aggettivi che meglio rendono omaggio ad un artista importante e da approfondire come Anselmo. In ultimo, pensare alle sue creazioni come la proiezione fantastica di un Gaudì ancora vivo, di un Nouveau Realisme ancora in auge.”