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Al Teatro dell’Albero Roberto Cuppone porta in scena Antonio Pigafetta, il luogotenente di Magellano

16 maggio 2013 | 11:08
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Al Teatro dell’Albero Roberto Cuppone porta in scena Antonio Pigafetta, il luogotenente di Magellano

Roberto Cuppone ha scritto di getto il suo Pigafetta, che ha affidato nel 2004 a Ugo Pagliai e che ora interpreta da sé con slancio ed energia lasciando erompere la profonda disillusione del protagonista

Ieri sera, al teatro dell’Albero, Roberto Cuppone ha portato in scena Antonio Pigafetta, vicentino come lui, luogotenente di Magellano, sopravvissuto alla prima circumnavigazione del globo. Dell’impresa egli tenne un diario – reperto straordinario, per lingua, contenuti e passione documentaria – che però nessuno volle leggere, tanto la vicenda era stata controversa e imbarazzante per le potenze europee che l’avevano finanziata e sostenuta: ammutinamenti, massacri e malattie sconosciute per tre interminabili anni di peripezie, da cui tornarono soltanto 18 dei 237 uomini partiti.

La curiosità per il destino di Pigafetta, scomparso misteriosamente senza più dare notizie di sé, ha intrigato l’autore, che immagina di ritrovarlo in un’isola di Capo Verde (ultima tappa sulla strada del ritorno dalla spedizione spaventosa), colmo di nostalgia per l’innocenza perduta in un viaggio terribile e quasi indicibile. Accompagnato dalla fida borraccia, Pigafetta ripercorre momenti tragici, truci e curiosi dell’esperienza, solo, davanti al mare che nel suo moto eterno porta con sé detriti e oggetti, raccolti da sponde lontane e da naufragi senza nome.

Ispirato, come lui stesso ci ha detto, dalla musica della cantante capoverdiana Cesaria Evora, Roberto Cuppone ha scritto di getto il suo Pigafetta, che ha affidato nel 2004 a Ugo Pagliai e che ora interpreta da sé con slancio ed energia lasciando erompere la profonda disillusione del protagonista per non vedere riconosciuto il valore di una esperienza così eccezionale. È la disillusione di Pigafetta, ma anche un poco la nostra – e la sua – per una giovinezza spesa a credere in un sogno che si è spento come la risacca sulla spiaggia.
C’è molto di ciascuno di noi in quel testo e in quell’interpretazione, ciò che avremmo potuto essere e ciò che siamo diventati, c’è la solitudine, i ricordi angosciosi, il sentimento di aver compiuto un’impresa che nessuno ora vuole ascoltare. C’è tutta la tristezza, malinconia e desiderio della voce di Cesaria, anche se nello spettacolo non ne riecheggia neppure una nota.