Il Procuratore Antimafia Anna Canepa al Polo Universitario di Imperia per una lezione sulla legalità

11 aprile 2013 | 23:51
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Il Procuratore Antimafia Anna Canepa al Polo Universitario di Imperia per una lezione sulla legalità
Il Procuratore Antimafia Anna Canepa al Polo Universitario di Imperia per una lezione sulla legalità
Il Procuratore Antimafia Anna Canepa al Polo Universitario di Imperia per una lezione sulla legalità
Il Procuratore Antimafia Anna Canepa al Polo Universitario di Imperia per una lezione sulla legalità
Il Procuratore Antimafia Anna Canepa al Polo Universitario di Imperia per una lezione sulla legalità
Il Procuratore Antimafia Anna Canepa al Polo Universitario di Imperia per una lezione sulla legalità

L’intervento di Anna Canepa sulle radici della criminalità organizzata fa parte di un ciclo di lezioni che hanno come obiettivo la consapevolezza dell’importanza dell’osservanza delle leggi all’interno dello Stato democratico di Diritto

Circa 150 studenti del Polo Universitario di Imperia hanno seguito la lezione tenuta dal Procuratore Antimafia Anna Canepa sui profili della criminalità organzzata, che dai luoghi di origine nell’Italia del sud si è diffusa nel Ponente Ligure e nel resto d’Italia. L’intervento di Anna Canepa fa parte di un ciclo di lezioni che hanno come obiettivo la consapevolezza dell’importanza dell’osservanza delle leggi all’interno dello Stato democratico di Diritto. Alla lezione erano presenti il Prefetto di Imperia Fiamma Spena, il Questore Pasquale Zazzaro e il Colonnello dei Carabinieri Alberto Minati.

La relazione di Anna Canepa sulla criminalità organizzata:

“La mia formazione universitaria è prettamente civilistica. Mai nella vita avrei voluto fare il Pubblico Ministero. Mi piace ricordarlo a voi che state iniziando questa avventura. Non mi sono piazzata tra i primi al concorso e ho dovuto accettare una sede in Sicilia a fare un mestiere che mai avrei voluto fare ma che ho intrapreso con passione fin dal primo giorno, un mestiere che mi ha profondamente segnato sia come persona che come magistrato. Mi reputo una persona fortunata perché faccio un lavoro difficile ma ancora oggi mi entusiasma moltissimo: spero di riuscire a trasmettervi un po’ di questo entusiasmo e a motivarvi, perché da studenti il percorso sembra quasi irraggiungibile. Spero invece di riuscire a motivarvi a fare una scelta gratificante, sia per la persona, sia per i riflessi che questa professione ha sulla collettività. Ho iniziato la carriera di pubblico ministero in anni cruciali, in Sicilia: quando ho preso servizio nel tribunale di Caltagirone la prima cosa che mi è venuta davanti è stata una lapide di marmo con la scritta “alle toghe intrise di sangue”.

Era il 1989, anni in cui le stragi che voi tutti conoscete, mi riferisco alle stragi del 1992, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, dovevano ancora accadere. Potete immaginare lo spirito con cui, venendo da questa terra sicuramente problematica, ma completamente diversa dalla realtà siciliana, ho affrontato questa situazione. Ho dovuto lasciare la Sicilia, dove ho fatto il Pubblico Ministero per tre anni, nel 1992, subito dopo il 31 luglio. Paolo Borsellino è stato ucciso il 19 luglio: mi hanno allontanata dalla Sicilia per ragioni di sicurezza. Sono tornata a lavorare a Genova, dove ho continuato a fare il pubblico ministero. Per otto anni ho lavorato alla Direzione Distrettuale Antimafia di Genova: mi sono occupata degli insediamenti di criminalità organizzata, soprattutto siciliani, ma anche calabresi; poi sono passata al Dipartimento Criminalità Organizzata e Terrorismo.
Tanto mi avevano colpito positivamente i tre anni trascorsi in Sicilia, che nel 2008 sono ritornata volontaria a Gela, ad occupare un posto deserto, dove i colleghi non volevano essere trasferiti, andando ad occuparmi della giustizia quotidiana, perché vorrei che fosse ben chiaro che fare il magistrato non significa solo fare i maxi-processi e le cose che finiscono sui giornali, ma è molto importante rendere la giustizia quotidiana, perché i cittadini hanno bisogno che venga soddisfatto il loro bisogno quotidiano di giustizia, che è anche occuparsi del furto del motorino, soprattutto in certi territori, e mi riferisco a Gela, che è una cittadina particolarmente complicata da questo punto di vista, perché altrimenti ci si rivolge altrove.

Quindi importanza fondamentale alla giustizia del quotidiano e onore ai tanti colleghi – siamo circa il 9000 magistrati in Italia, voi conoscete i nomi di alcuni, non di tutti – ai tanti colleghi che nessuno conosce, che nel quotidiano fanno il loro dovere con serietà. Sono poi approdata nel 2009 alla Direzione Nazionale Antimafia, un posto che mi onora, il coronamento di chi ha avuto il percorso che ho avuto io dal punto di vista lavorativo. Mi sono occupata fino all’anno scorso del coordinamento delle indagini sulla Lombardia e la Liguria, da quest’anno mi occupo del coordinamento sulla Liguria, e quindi il mio intervento di oggi, che vuole anche ripercorrere con voi.
Quando ero studente mi si parlava di certe cose, ora il tempo è passato, sentivo una realtà veramente distante: mi fa piacere quindi ripercorrere con voi, attraverso quella che è stata la mia esperienza, anche la storia della criminalità organizzata, di come la criminalità organizzata, soprattutto quella di stampo mafioso, si è insediata nei territori dove ha avuto origine e anche al nord.

Il tema è vastissimo, potremmo ritrovarci qui per ore e ore, io vi offrirò alcuni punti di riflessione: l’ideale è pensare che quando finiremo questo nostro incontro voi avrete voglia di approfondire gli spunti che io metto sul tappeto, un percorso di conoscenza che oggi ha inizio, tenendo presente che gli scenari sono in continua evoluzione, sia dal punto di vista delle strategie criminali della criminalità organizzata, ma anche e soprattutto dal punto di vista delle strategie di contrasto che sono poste in essere dalle forze di Polizia e dalla Magistratura.
Per affrontare questo discorso sono necessarie, lo dico sempre, alcune premesse: qui siamo al Nord e per capire come le mafie sono arrivate nei nostri territori bisogna sempre vincere dei luoghi comuni e dei pregiudizi, che sono molti, perché nonostante i processi di criminalità organizzata siano processi che si fanno al sud come al nord, è opinione diffusa, che la criminalità organizzata di stampo mafioso sia una prerogativa del sud del Paese e che non riguardi, non sia arrivata in altri territori. Invece il fenomeno, e purtroppo non solo da oggi, è un problema nazionale ed anche internazionale: basti pensare a cosa è accaduto nel 2007 a Ferragosto a Duisburg, per sapere che la ‘ndrangheta, di questo stiamo parlando, è arrivata in Germania dove ha conquistato il territorio. Dobbiamo capire che cosa è successo.

Il problema è che nel nostro paese il fenomeno è sempre stato affrontato come un’emergenza. E’ invece un fenomeno particolare che connota l’Italia da almeno duecento anni. Quello che colpisce quando vogliamo parlare di storia della criminalità organizzata è proprio la durata, perché se sono duecento anni che ci si confronta con il fenomeno, la prima domanda è perché non lo abbiamo ancora sconfitto? Quando parlo di criminalità organizzata di stampo mafioso mi riferisco alle tre mafie storiche, che sono mafia, camorra e ‘ndrangheta. C’è anche la sacra corona unita ma è un fenomeno marginale e tutto sommato contenuto. Di mafia, camorra e ‘ndrangheta si parla al sud dall’unità d’Italia; il termine camorra compare in documenti ufficiali del 1735; il termine mafia compare in documenti ufficiali in Sicilia dal 1865 e in documenti privati dal 1861. Il problema è che sono fenomeni assolutamente resistenti che prosperano sia quando lo stato e gli apparati repressivi sono inerti, ma anche quando lo stato reagisce, basta pensare al periodo del prefetto Cesare Mori, nel periodo fascista, in cui ci fu una forte repressione del fenomeno, che però non risolse il problema. Sono passati due secoli e le mafie non sono state sconfitte e purtroppo neanche ridimensionate, stiamo parlando dell’espansione del fenomeno al nord. Allora la domanda che dobbiamo porci è quando i fenomeni criminali durano tanto a lungo, e quando si dimostrano inefficaci tutti i tentativi di reprimere, vuol dire che questi fenomeni non appartengono solo alla storia della criminalità ma sono parte integrante della storia di questo paese.

Quindi non dobbiamo considerare la criminalità di stampo mafioso come una storia separata, fatta solo di assassini, di delinquenti, di criminali, ma un fenomeno complesso, che nasce nel sud del paese dominato dagli spagnoli, dai Borboni, che ha avuto in effetti per un certo periodo di tempo uno sviluppo separato dal resto del paese, ma non è qualcosa che riguarda solamente questi territori. Non è un’emergenza: dobbiamo considerarlo un dato strutturale che attraversa la nostra storia. Perché la storia delle mafie meridionali non è semplicemente la storia di organizzazioni criminali, ma è la storia dei rapporti che l’insieme della società – questo è un dato molto importante per comprendere il fenomeno – ha stabilito nel tempo con i fenomeni criminali. E’ una storia biunivoca, di rapporti reciproci. La storia della criminalità è storia di rapporti con il mondo esterno alla criminalità e con la stessa criminalità. La storia delle mafie – non lo dico io ma storici come il professor Sales che si è a lungo occupato di questa materia – è innanzitutto e soprattutto storia dei rapporti con le mafie.

La sanguinosa storia recente ci dimostra che la risposta giudiziaria, questo lo dico dovunque intervengo, è una sola delle possibili risposte, è una risposta importante, ma non è risolutiva. E soprattutto la risposta giudiziaria è una risposta tardiva e non sufficiente. Questo perché il fenomeno delle mafie non poteva sopravvivere solo con l’uso della forza e della violenza, ma ha necessariamente usufruito di un supporto culturale ed ideologico. Le mafie hanno allargato le loro frequentazioni: oggi sentite sempre più spesso parlare di zona grigia, che cosa vuol dire? Le mafie che escono dal loro ambito, l’ambito criminale in senso stretto, ma hanno cercato alleanze, una certa benevolenza culturale, appoggio della politica e degli uomini dello stato, di quegli uomini che avrebbero dovuto combatterle. E’ quindi un fenomeno estremamente pericoloso e subdolo. Se noi pensiamo alla criminalità, non riguarda solo il nostro paese: la criminalità si è ovviamente diversificata a seconda delle epoche storiche, e anche a seconda dei contesti in cui si sviluppa. Quando pensiamo alla criminalità organizzata pensiamo ad un gruppo di persone che compiono atti criminali, con un programma che si prolunga nel tempo: questi sono i criminali organizzati comuni, che sono facilmente affrontabili, e rappresentano un dato fisiologico di ogni società, non solo quella italiana. La criminalità di stampo mafioso si è dimostrata molto più resistente e quindi molto più difficilmente attaccabile e sconfiggibile. Dobbiamo chiederci perché , che cosa la differenzia dalla criminalità semplice. Le mafie italiane presentano un nucleo forte di resistenza, rappresentano una patologia molto resistente alle cure che sono state fino ad oggi tentate.

Dobbiamo chiederci quali sono questi elementi così forti che connotano e differenziano la criminalità mafiosa dalla criminalità organizzata: sono “qualità” di tipo culturale, di tipo istituzionale e di tipo economico.

Dal punto di vista culturale la criminalità di tipo mafioso, questo è fortissimo nei territori del sud, ha attorno a sé un riconoscimento, l’ambiente sociale non rifiuta la criminalità di stampo mafioso, sente i codici, i riti di duecento anni fa che sussistono ancora oggi. Le indagini hanno messo a fuoco la ritualità del santino che viene bruciato per entrare in questa organizzazione. E’ un onore entrare a far parte di queste consorterie, di queste associazioni che sono poi di fatto associazioni segrete e l’ambiente riconosce il valore dell’appartenenza a queste associazioni e soprattutto in certe realtà in cui la mafia è nata, non c’è il mafioso se intorno a lui non c’è una comunità che riconosce il suo linguaggio, il suo comportamento, i suoi gesti, i suoi atti, che non vengono letti solo come atti criminali o delinquenziali. E’ qui che viene fuori quella zona grigia, che è l’assenza di un confine delineato tra classi dirigenti mafiose e classi dirigenti anti-mafiose.

La criminalità di tipo mafioso ha la capacità di accumulare capitali ingentissimi. E’ uscito in questi giorni il libro di Roberto Saviano sulla cocaina. Roberto Saviano ha una grande capacità di divulgazione, quindi è da leggere per la sua capacità di rendere dati che sono dati che provengono da indagini, di renderli fruibili al pubblico. Ma non dice nulla di nuovo. Se leggete il libro di Saviano capirete qual è la capacità di accumulo di denaro della criminalità organizzata. Di traffico di droga se ne occupa la criminalità organizzata, e rimane uno dei principali business della criminalità organizzata di sempre. La capacità della criminalità organizzata di stampo mafioso è quella di reinvestire questi capitali utilizzando la violenza, quello che noi tecnici chiamiamo metodo mafioso, andando ad inquinare l’economia legale, senza peraltro mai lasciare gli affari legali. Noi abbiamo il mafioso che continua a trafficare droga ma che nello stesso tempo diventa imprenditore.
Ed è un questa ambiguità, in questa frequentazione ambigua, che la mafia trova soggetti che la aiutano, perché quando parliamo di zona grigia noi che ci occupiamo del fenomeno dal punto di vista giudiziario pensiamo a tutti quei professionisti che mettono a disposizione le loro capacità per le mafie, e aiutano, senza sporcarsi le mani, le mafie ad inquinare l’economia legale. Questa è la zona grigia.

A questa forte capacità di inquinamento della società dobbiamo aggiungere che la forza delle associazioni di stampo mafioso è anche data dal fatto che sono dei veri e propri ordinamenti. Le associazioni di stampo mafioso hanno delle loro leggi, dei loro regolamenti, sanzioni, che molto spesso arrivano alla morte, una loro ideologia, si servono di rituali di iniziazione e controllano strettamente il territorio in cui sono insediate. E lo controllano attraverso l’estorsione ed il fenomeno del pizzo. Se voi vedete come è stato tipizzato dai giuristi il reato di associazione di stampo mafioso, quello che vi ho detto lo trovate nell’articolo 416 bis del Codice Penale, uno strumento utilissimo, che è stato introdotto nel 1982 con la legge Rognoni – La Torre.

Dobbiamo prendere atto che le mafie non sono soltanto un problema criminale, ma rappresentano, lo possiamo dire, oggi iniziate questo vostro percorso di lezioni di legalità, rappresentano fortemente nel nostro paese, una vera e propria questione democratica di primaria importanza.
Tenete presente che in alcune zone controllano il voto dei cittadini, pensate che le mafie sono arrivate ad eleggere anche senatori in Parlamento. Penso alla vicenda non recentissima del senatore Di Gerolamo che è stato eletto con i voti della mafia in Parlamento, e sicuramente non per perseguire gli interessi della comunità. Quindi le mafie condizionano i partiti, eleggono loro rappresentanti, e mettono così un’ipoteca sul funzionamento delle istituzioni, ma non voglio pensare al Parlamento che è l’esempio massimo di istituzione: pensiamo ai piccoli Comuni, abbiamo avuto esempi anche nel nostro territorio. Per tutte queste ragioni le mafie non sono solo un problema del mezzogiorno ma dell’Italia intera e oggi sono diventate soprattutto un problema dell’economia.
Questa immensa capacità di accumulo di denaro liquido in un momento di crisi mondiale significa riuscire ad arrivare nei gangli dell’economia

Come arrivano al nord le mafie? Viene richiamata spesso la metafora che Leonardo Sciascia, con grandissima lungimiranza, negli anni Settanta utilizzava per spiegare come le mafie stessero risalendo lo stivale dal sud dell’Italia: diceva che la linea della palma stava avanzando. Noi abbiamo tante palme, comunque la palma è l’albero tipico del sud, dei paesi caldi, quindi la mafia dalla Sicilia stava risalendo.
Le mafie stanno dilagando, le mafie sono dovunque, lo dico non come fenomeno sociologico, ma come fenomeno che risulta dai processi. Qui da noi abbiamo un problema giudiziario, ma ad esempio in Lombardia sono stati fatti tantissimi processi. Tra il 1991 e il 1995 il numero dei mafiosi rinviati a giudizio nella sola Lombardia ha superato le 2000 persone.

Molto spesso i giornali fanno gli scoop e dicono “C’è la mafia al nord” come se fosse un fenomeno del 2013, ma non è così, è un fenomeno risalente. Trecento persone sono state ammazzate in Lombardia tra il 1991 e il 1992, indagini molto importanti, mafiosi condannati, ‘ndranghetisti condannati. La commissione Antimafia che nel 1994 viene a parlare del fenomeno delle infiltrazioni in territori non tradizionalmente mafiosi, quindi è un fenomeno che non è di oggi, non possiamo meravigliarci oggi quando veniamo a contatto con le notizie dei giornali.
I dati della Lombardia sono il frutto di processi con sentenze passate in giudicato, quindi dati giudiziari obiettivi. La Lombardia è stata la regione con il maggior numero di sequestri di persona, che erano uno dei business della criminalità organizzata degli anni Settanta, ci sono stati più sequestri in Lombardia, 158, che in Calabria, solo 128 negli anni in cui questo fenomeno era in auge.

Oggi i capitali delle mafie sono arrivati nei territori dove questi capitali, che sono capitali “sporchi”, possono essere ripuliti e reinvestiti. Questo è il fenomeno del riciclaggio, che sta arrivando nei territori del nord.
Quando la linea della palma ha iniziato ad avanzare? Occorre risalire al periodo del dopoguerra, il periodo della ricostruzione. Nel dopoguerra ci sono stati profondissimi mutamenti sociali ed economici. Il primo business delle mafie che nascono al sud come fenomeno rurale, attaccato alla terra, è a partire dai primi anni Cinquanta, quando iniziano ad occuparsi dei grandi traffici internazionali di tabacchi, in un primo momento, e successivamente di sostanze stupefacenti. E da qui inizia la necessità delle mafie di interessarsi ai grandi porti. Dico questo perché spesso mi viene chiesto perché la mafia si è interessata alla Liguria: perché in Liguria abbiamo un grandissimo porto, quello di Genova, che negli anni Cinquanta era veramente la porta dell’Europa sul Mediterraneo: le mafie si sono subito interessate del porto di Genova, lo hanno visto come possibile ruolo di approdo in un primo momento del traffico di tabacchi, che è i primo passaggio dell’internazionalizzazione degli interessi delle mafie. E’ con questi traffici, che vengono poi commutati in traffici di sostanze stupefacenti, che inizia quella che viene definita tecnicamente la sprovincializzazione delle mafie italiane.

C’è stata una grandissima sottovalutazione del traffico dei tabacchi, che veniva visto come poco rilevante, che in realtà segna e apre le rotte al lucrosissimo traffico di sostanze stupefacenti, di cui la Sicilia diventa il polo centrale ma i porti del nord, soprattutto Genova, diventano strategici per distribuire la sostanza stupefacente in tutta Europa. E’ attraverso il contrabbando di sigarette ma soprattutto attraverso il traffico di stupefacenti che le mafie italiane escono dalla provincia del sud e vengono proiettate direttamente sullo scacchiere internazionale, con possibilità di guadagni immensi.

Non sono io a dirlo, ma sono stati i collaboratori di giustizia che hanno detto che in Liguria esistono i locali di ‘ndrangheta. I locali sono le associazioni territoriali minime della ‘ndrangheta. Il locale di Ventimiglia è uno dei più importanti, perché Ventimiglia è una cittadina di confine, strategica dal punto di vista territoriale. E’ un territorio di transito. Negli anni viene consentito il transito di latitanti, perché la Francia è stata colonizzata come la Liguria. Esistono locali di ‘ndrangheta anche nel sud della Francia, un territorio strategico soprattutto per i latitanti. Molti latitanti di ‘ndrangheta, condannati per reati gravi quali sequestri di persona e omicidi, hanno utilizzato il nostro territorio, che è tutto sommato tranquillo. Qui la ‘ndrangheta non ha bisogno di conquistare il territorio commettendo reati come ha fatto al sud.

Il locale di Ventimiglia è il più importante. C’è solo una sentenza che ha riconosciuto un 416 bis che riguardava una famiglia calabrese di Arma di Taggia negli anni Novanta. Ci sono sintomi significativi con cui bisogna  fare i conti. Ci sono reati che non devono essere sottovalutati. Per esempio l’incendio di mezzi che servono a fare lavori pubblici. Si incendia il mezzo del costruttore che si rifiuta di pagare il pizzo. Sminuire questi fenomeni significa non prendere in considerazione la possibilità che possano esserci richieste estorsive nei confronti di imprenditori che cercano di lavorare senza sottostare alle richieste della criminalità organizzata".

FOTOSERVIZIO DI ALESSANDRO DEL VENTO