Pasqua: il testo integrale del Vescovo Diocesano, Mons. Alberto Maria Careggio

31 marzo 2013 | 06:52
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Pasqua: il testo integrale del Vescovo Diocesano, Mons. Alberto Maria Careggio

“La Pasqua è la consapevolezza della presenza viva e reale di Cristo in mezzo a noi”

Il testo integrale dell’omelia del Vescovo Diocesano, Mons. Alberto Maria Careggio in occasione della Santa Pasqua

"Scoprire Cristo sui sentieri della propria vita"

Fratelli carissimi, oggi in tutte le Chiese del mondo risuona il gioioso annuncio che abbiamo appena ascoltato: Cristo è risorto: Questo è il giorno di Cristo Signore, Alleluia, alleluia. La Pasqua è, infatti, il fondamento di tutto il mistero cristiano. Se Cristo non è risuscitato – afferma San Paolo – allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede; … se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. E anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se poi noi – continua Paolo – abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini. Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti (1 Cor 15, 14.18-20).
Non basta, ovviamente, proclamare questo evento, perché diventi vero; è vero perché così è realmente accaduto, cogliendo di sorpresa anche i discepoli del Maestro. Questi, nonostante le promesse di Gesù, tanto poco si aspettavano di saperlo risorto, che il primo effetto delle apparizioni fu lo spavento: credevano che fosse un fantasma (cfr. Lc 24,37). Erano così lontani dall’idea di vederlo ritornare vivo, che lo scambiarono per un altro (cfr. Gv 20,15). Lungi dall’inventare il suo ritorno, lo dovettero credere dopo molte titubanze e quasi per costrizione esterna, come dalle numerose apparizioni, dai molti fatti e dall’evidenza del sepolcro che, pur essendo stato sigillato e ben custodito dalla guardie, perché il corpo del crocifisso non fosse trafugato, era vuoto (cfr. Mt 27,66).
Ma che cos’è la Pasqua di cui tanto si parla, se non la consapevolezza della presenza viva e reale di Cristo in mezzo a noi? Tutti quelli che si erano recati al sepolcro, dalle donne, le prime andate di buon mattino, quand’era ancora buio, ai due apostoli Pietro e Giovanni giunti di corsa, nel vedere credono. Non possono che dare ragione alle Scritture, secondo le quali Egli doveva risuscitare dai morti.
La buona notizia continua ad attraversare i secoli e i millenni. Interprete di questa certezza è la liturgia pasquale, come canta la Sequenza di questo giorno: Sì, ne siamo certi, Cristo è veramente risorto! Per questo dobbiamo fare festa nel Signore e celebrarla con purezza di fede e verità.
Per noi, figli di una cultura miscredente, il brano evangelico che più ci coinvolge è quello dei due discepoli che, sconvolti e delusi dallo smacco del Maestro, fanno ritorno al loro villaggio di Emmaus. Lasciano Gerusalemme, la comunità che avevano a lungo frequentato, perché si sono infrante tutte le loro speranze: come si può pensare – si domandano – che un desiderio, un sogno tanto accarezzato dal popolo, come quello della sua liberazione dal giogo straniero dei Romani, possa finire così miseramente? Per questo se ne vanno con parole amare e rancorose: Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele! (Lc 24,21).
I loro discorsi sono tanto simili a molti nostri ragionamenti. Anche noi vorremmo piegare i progetti di Dio alle nostre vedute umane, parziali e, spesso, anche grette. Quanti, cedendo alle lusinghe del Demonio, si allontanano dalla fede e dalla Chiesa, con il pretesto che, con o senza, dentro o fuori, tutto è uguale per non dire, mentendo, che c’è più marcio dentro che fuori! A tutti costoro risponde Sant’Agostino: O discepoli, l’avevate sperato. Vuol dire che adesso non lo sperate più. Ecco, Cristo vive, ma in voi la speranza è morta. E continua il Santo: Quando il Signore parlava con loro (ossia, con i discepoli di Emmaus) essi non avevano più la fede… Avevano perso la fede e la speranza… Camminavano morti in compagnia della stessa Vita» (Disc. 235,3).
Un mio primo augurio, carissimi fedeli, lo rivolgo dunque a tutti coloro che sono morti alla grazia, spenti nella fede e nella speranza. Possano costoro, in questa Pasqua, scoprire Cristo, prima che sia troppo tardi e la loro vita non si trasformi in disperato fallimento. Gesù, che è il Salvatore, è pur sempre accanto ai nostri mille rifiuti, ai mille sbagli che sono la ragione prima della nostra mortale tristezza. Il segreto per risorgere è uno soltanto: accogliere l’Ospite divino che bussa alla porta della nostra coscienza e condividere con lui tutta la nostra vita. Basta aprirgli la porta e dirgli: Resta con me, perché senza di te si fa sera. Vengono a proposito i versi del grande poeta Salvatore Quasimodo: Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera, ma con Gesù la sera diventa una storia di luce pasquale.Il Vangelo dice che i cuori sconsolati dei due viandanti riconobbero il Signore quando, a tavola, spezzò loro il pane e quando, lungo il cammino, spiegava loro le Scritture. Lo Sconosciuto che prima aveva lasciato parlare, o meglio sfogare, i due discepoli, ora parla lui. Dice cose che essi già conoscevano, cioè della loro storia, della loro vita, del mondo, ma lo fa alla luce della Parola di Dio, delle Sacre Scritture. Gesù aveva dovuto fare loro un forte rimprovero, definendoli stolti e tardi cuore. Il senso pieno delle espressioni ebraiche sarebbe come dire: “ritardati”, “poco intelligenti” “abulici”, perché non desiderosi di capire i fatti di cui erano stati spettatori.
Con estrema chiarezza, il Signore dice anche a noi che esiste una via superiore di conoscenza ed è quella dell’assimilazione della Parola di Dio e dello spezzare il pane. In altre parole: non è autentica quella vita cristiana, o meglio, quella fede, che non si alimenti di Parola di Dio, di Eucaristia e che non senta il bisogno di una sincera condivisione di beni e di risorse con i fratelli che sono nel bisogno. Il secondo augurio lo rivolgo quindi a tutti quelli che pensano di essere veri fedeli soltanto perché sono battezzati, ma non praticanti: una vita cristiana epidermica non può modificare in profondità la loro esistenza. La fede non è un vestito che si toglie e si mette; non è una ostentazione di perbenismi di circostanza; non si esprime nella partecipazione solo saltuaria a certe feste importanti. La fede è adesione totale al Signore Risorto; è quindi l’esperienza di un amore così profondo che tocca il cuore dell’uomo, tanto da trasformarlo e da farlo ardere di passione per Cristo e di amore per i fratelli. Dico “ardere”, sapendo di pronunciare una parola “sconvolgente” e impegnativa.
La scena evangelica termina con il rientro di corsa dei due discepoli a Gerusalemme. Sono eccitati dalla scoperta, fremono dal desiderio di arrivare subito dai loro amici per dare la buona notizia. C’è stata per essi l’evidenza di un incontro. Ciò che è passato nella loro esperienza lo devono condividere, partecipare, testimoniare… Come potevano tacere?…
Quale contrasto con la nostra fede, muta, silenziosa, fredda, una fede che non si riscalda se non in rare occasioni! Le nostre celebrazioni liturgiche, per esempio, rischiano di essere più la condivisione della noia, della rassegnazione, che l’esperienza di una profonda gioia con il Signore risorto, vivo e presente in noi. Dopo che Gesù ha detto di essere venuto a portare il fuoco sulla terra (cfr. Lc 12,49), mi domando come sia possibile ad un vero cristiano vivere ripiegato su se stesso, col volto triste e incapace di guardare con occhio luminoso le persone che gli vivono accanto, la vita pur con tutte le sue miserie e affanni e lo stesso avvenire: la Provvidenza c’è sempre per tutti!
Il mio terzo ed ultimo augurio è dunque per coloro che veramente credono. A loro dico di testimoniare sempre e dappertutto questa fede con la gioia sul volto perché, come afferma San Paolo, Dio ama chi dona con gioia (2Cor 9,7). In quest’anno della Fede diventa più intenso l’invito: Portate la vostra fede pasquale in tutti gli ambienti della vita, famiglia, scuola, mondo del lavoro, dello sport, dello svago. L’opera di evangelizzazione non deve avere frontiere: è tanto più urgente quanto più è complesso il contesto culturale e sociale di oggi. Siate quindi testimoni autentici e gioiosi del Cristo risorto! Cristo è sempre con noi. Buona Pasqua! Buona e Santa Pasqua a tutti!

+ Alberto Maria Careggio