Il Sel sanremese propone di assegnare i terreni incolti

In un periodo di crisi, molti disoccupati coltiverebbero volentieri terreni abbandonati, rimpinguando lo stipendio ed abbassando le spese per l’acquisto di frutta e verdura
Il Laboratorio Sanremese di Sinistra Ecologia Libertà ha formulato una proposta per il rilancio delle politiche agricole e per la gestione del territorio.
Sia sulla costa che nei paesi dell’entroterra vi sono molti terreni incolti ed è probabile che i proprietari non riescano a coltivarli, che non abbiano il tempo oppure la capacità o la voglia di farlo. In alcune situazioni non si conoscerebbero nemmeno i proprietari o gli eredi.
Considerando tutto questo uno spreco e una perdita di opportunità, soprattutto in un periodo di crisi, in un momento nel quale molte persone come i disoccupati, pensionati al minimo o lavoratori con famiglia, dipendenti o precari vorrebbero avere un pezzo di terra da coltivare, integrando così il proprio stipendio o diminuendo le spese per l’acquisto di generi ortofrutticoli, la terra può ritornare ad essere fonte di sussistenza e risorsa, per le famiglie e per il territorio.
Secondo questa prospettiva si rende necessaria una politica dei terreni incolti, che preveda alcune azioni, da parte dell’amministrazione pubblica che dovrebbe censire i terreni gerbidi, rilevare o acquisire la proprietà secondo normative ad hoc, previa notifica a chi risulta proprietario in catasto, e anche nel caso di un mancato riscontro, offrire il terreno in comodato gratuito a chi vorrà coltivare senza costo alcuno, se non l’obbligo di recupero e di mantenimento del terreno stesso.
Dopo un periodo compreso fra i 3 e i 5 anni, il proprietario originario potrà tornarne in possesso, se intende coltivare il terreno in questione, in caso contrario dovrà darlo in locazione al tenutario, al costo di una percentuale del prodotto o del ricavato per un ulteriore tempo concordato.
Per la vendita dei frutti dei terreni coltivati in eventuale esubero rispetto al consumo familiare, si potrebbe favorire, con l’aiuto e la guida delle istituzioni, la nascita di cooperative locali garanti della provenienza del prodotto, della qualità dello stesso e della lavorazione in loco (le denominazioni comunali DE.CO).
Secondo un processo virtuoso coltivare nell’entroterra potrebbe portare nuove residenzialità. Inoltre, in merito alla valorizzazione del territorio, nei piccoli paesi non serve costruire nuove case di cemento, ma recuperare quelle abbandonate dei centri storici a costi minori e defiscalizzazioni: “dare famiglie ai paesi” significa tenere aperti i caruggi e le case, le attività commerciali e le scuole; recuperare la memoria ed i valori della convivenza, significa nuova qualità della vita e ritorno alla possibilità di valori alti.
La crisi si supera trovando anche nuove e impensate possibilità di sviluppo.
Il compito delle istituzioni risiede nell’impegno e nella ricerca delle strade percorribili per migliorare la qualità di vita per le loro comunità.
Le sfere più alte della politica, a partire dalle regioni, dovrebbero legiferare per facilitare questi percorsi, ed offrire delle possibilità a tutti, con l’attenzione rivolta a favorire sviluppo e ad evitare sprechi.