Piazza Bresca: la questione giovanile a Sanremo secondo lo psicoterapeuta Fulvio Rombo
“Ho sempre sostenuto, e sostengo tuttora, che qualsiasi fenomeno debba essere letto non soltanto osservando la superficie, ma scandagliando le profondità.”
Ho sempre sostenuto, e sostengo tuttora, che qualsiasi fenomeno debba essere letto non soltanto osservando la superficie, ma scandagliando le profondità. Serve più tempo e più fatica talvolta, ma alla fine si giunge ad una migliore comprensione. E questo aiuta a reperire soluzioni più adeguate, qualora il fenomeno in questione richieda implicitamente un intervento. E’ questo il tipo di lettura che ritengo sia da applicare a quanto da mesi sta avvenendo in Piazza Bresca. Solo uno sguardo disattento, ovvero miope, può non vedere, in quel microcosmo di varia umanità, una vicenda complessa e soprattutto un problema sociale grave e conclamato.
Primo livello
Esiste con tutta evidenza un problema di interazione tra i vari attori della piazza, ognuno portatore di un interesse, ciascuno dei quali legittimo: il bisogno di lavorare dei pubblici esercizi (che già vedono il conflitto tra pub e ristoranti, ognuno con clientela ed esigenze diverse), il bisogno di quiete dei residenti, il bisogno di divertimento dei giovani, che hanno eletto quella piazza a luogo di aggregazione. Questo è il primo livello di lettura del fenomeno. Credo che per arricchire la discussione ne vada proposto un altro.
Secondo livello
Ritengo, in maniera forse troppo ottimistica (visto che in realtà non si è raggiunto sinora il benché minimo risultato), che riguardo al problema di primo livello, poiché si parla di relazioni tra adulti, si possa giungere a delle negoziazioni tra gli attori in questione (ordinanze che vietano la vendita di alcolici dopo un certo orario e altri provvedimenti sulla civile convivenza all’interno della piazza). Esiste però un problema di secondo livello: una questione giovanile che non è percepita come una questione sociale soltanto perché non appartiene alla categoria della marginalità. Si parla infatti di ragazzi che escono, che vivono una dimensione sociale, che amano incontrasi in una piazza. Ma, una parte di loro, non ha la minima concezione del limite, e tanto meno del rispetto degli altri, oltre che di se stessi. Vogliamo cominciare a porci seriamente la questione di QUESTI ragazzi, che spesso possono essere insospettabilmente di buona e borghese famiglia, che non per forza sono stranieri, pieni di tatuaggi e piercing e magari possono incorrere nel pericoloso binomio dell’essere nullafacenti e facoltosi (senza lavoro ma con i-phone, moto etc. ) e non hanno la benché minima remora morale nell’imbottirsi di droghe e tantomeno di alcol, che per giunta è pure legale? Dove sono gli adulti, che hanno la responsabilità di questi ragazzi? Chi insegna ai giovani il senso del limite e del rispetto di sé? Dove sono i loro genitori?
I
l mio è un appello a tutte le forze adulte di questa città, perché ci si riappropri del nostro ruolo educativo, e all’amministrazione in primis, perché prenda in carico davvero anche il secondo livello del fenomeno. Ciò significa considerare il problema in questione non solo come un problema di ordine pubblico, delegando l’azione educativa unicamente alla politica delle ordinanze e del ripristino della legalità, necessario ma non sufficiente; significa lavorare attivamente per promuovere una cultura e delle azioni concrete di PREVENZIONE, che interessino la scuola, la famiglia, i giovani, e che abbiano la finalità di far crescere DAVVERO i nostri ragazzi.