Enrico Revello, segretario generale Camera del lavoro: l’intervento a Sanremo per il XXV aprile

25 aprile 2012 | 11:38
Share0
Enrico Revello, segretario generale Camera del lavoro: l’intervento a Sanremo per il XXV aprile

“Le ricorrenze rivestono un forte valore simbolico, ancor prima che celebrativo. Ripropongono la
memoria, storicamente rivisitata, di avvenimenti centrali per la vita collettiva. Evocano principi e
valori che di quegli avvenimenti hanno costituito”

Autorità civili, militari, religiose.
Rappresentanti delle associazioni partigiane, combattentistiche, d’arma.
Cittadine e Cittadini di Sanremo.
Le ricorrenze rivestono un forte valore simbolico, ancor prima che celebrativo. Ripropongono la memoria, storicamente rivisitata, di avvenimenti centrali per la vita collettiva. Evocano principi e valori che di quegli avvenimenti hanno costituito l’ispirazione profonda, segnando il nostro comune sentire.
Con il passare degli anni, le persone invitate ai giardini Gino Napolitano a celebrare la ricorrenza del 25 aprile, dalla Sezione A.N.P.I. di Sanremo (che ringrazio per l’invito, considerandolo un grande onore personale e per l’organizzazione che rappresento), appartengono inevitabilmente sempre di più a generazioni che non hanno vissuto in prima persona gli anni della seconda guerra
mondiale e della Resistenza al regime fascista e all’occupazione nazista. Quel patrimonio di ricordi e di emozioni può essere trasmesso solo dai protagonisti di quella stagione irripetibile per la rinascita democratica del nostro Paese. E’ difficile parlare di ciò che abbiamo conosciuto soltanto attraverso i libri, i documenti e i racconti dei partigiani incontrati nel corso degli anni. Ma come scrive Gabriel Garcìa Màrquez nella sua autobiografia: “la vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla”. Proverò, pertanto, confidando nella vostra benevolenza, a trasmettere l’emozione che provo ogni volta che mi trovo con i protagonisti di quella che io considero l’origine della mia libertà, della mia democrazia e del mio paese. Nel ricordare il 25 Aprile abbiamo il dovere di evitare un fraintendimento del significato della festa della liberazione. Un fraintendimento di chi interpreta il 25 Aprile come celebrazione di un fatto bellico, una guerra, la più orrenda delle guerre: la guerra civile. Non è così. La Resistenza è stata certamente confronto armato: per cacciare i nazisti dal nostro paese e sconfiggere fascisti, era difficile procedere per le vie democratiche della discussione. Ma durante e prima della Resistenza, le forze migliori della politica e della cultura di questo paese,
quelle stesse che si ritroveranno nell’elaborazione della nostra Costituzione si riunirono, si confrontarono, discussero, polemizzarono anche duramente con la passione delle idee. Perché durante la Resistenza si discusse molto. E le ricorrenti polemiche antiresistenziali rivelano, a mio giudizio, l’insofferenza per le idee, per la cultura, per il confronto sui contenuti e sui valori. “I muri maestri della nostra Costituzione reggeranno perché il popolo italiano li ha cementati con le sue lacrime e con il suo sangue”, diceva Piero Calamandrei, che a Milano il 26 gennaio 1955 inaugurava un ciclo di conferenze sulla Costituzione italiana con parole ancora oggi di altissimo richiamo all’impegno scientifico e morale degli studenti medi e universitari che lo avevano organizzato.
“In questa Costituzione c’è dentro tutta la nostra storia. Tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie: son tutti sfociati qui negli articoli. E a sapere intendere dietro questi articoli, ci si sentono delle voci lontane.

Quando io leggo nell’Articolo 2: “L’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà, politica, economica e sociale” o quando leggo nell’Articolo 11: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli”, “la patria italiana in mezzo alle altre patrie”, ma questo èMazzini!
O quando io leggo nell’Articolo 8: “Tutte le confessioni religiose, sono ugualmente libere davantialla legge”, ma questo è Cavour!
O quando io leggo nell’Articolo 5: ”La Repubblica, una ed indivisibile, riconosce e promuove leautonomie locali”, ma questo è Cattaneo!
O quando io leggo, a proposito delle forze armate, nell’Articolo 52: “L’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica”, ma questo è l’esercito di popolo diGaribaldi!
O quando leggo all’Articolo 27: “Non è ammessa la pena di morte”, ma questo è Beccaria!

Grandi voci e grandi nomi lontani. Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti. Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa Costituzione. Dietro ogni articolo di questa Costituzione o giovani, voi dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di
Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa Carta.”
Una carta che, all’Art. 1 recita: L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. […]
All’Art. 3: E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli […] che […] impediscono […] l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
All’Art. 41: L’iniziativa economica privata è libera.Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. […]

Massimo Cacciari ricorda spesso che “non è tanto la Corte Costituzionale che deve custodire la lettera della Costituzione. Custodi della Costituzione, rispettandone il suo senso profondo, sono tutti i cittadini che devono agire, lottare perché essa venga sempre più promossa e largamente attuata e sviluppata”.
La Resistenza non è stata un fatto individuale e neanche genericamente un fatto di popolo. È stata un prodotto di organizzazione, un prodotto di forze politiche che incontrandosi e confrontandosi hanno dato vita a organismi unitari, che hanno saputo costruire fecondi compromessi.
Come la Resistenza anche la Costituzione è il frutto di forze politiche organizzate, che si sono incontrate, hanno ragionato, discusso. Rileggetevi gli Atti dell’Assemblea Costituente: centinaia e centinaia di pagine, con migliaia di proposte presentate, emendamenti discussi. Discussioni di ore e ore, indispensabili per confrontare e vagliare posizioni tra loro molto diverse, divergenti anche da un punto di vista ideale, e per trovare alla fine un accordo sostanziale. Non un accordo qualsiasi, non un compromesso al ribasso, ma un accordo che ha fatto sì che la nostra Carta costituzionale sia la più avanzata dei paesi occidentali, la più aperta, la più progressiva.
Si tratta di una ‘Tavola Di Valori’ destinata a durare, che va difesa contro ogni tentativo di stravolgimento e contro il rischio che quei valori possano venire di volta in volta accantonati, manipolati, traditi e perfino capovolti. Contro questi tentativi e contro questi rischi occorre resistere e reagire, perché questo è il significato più attuale assunto oggi dagli ideali della Resistenza. Occorre resistere e reagire, anzitutto, contro il venir meno della memoria dei valori di libertà, di eguaglianza e di democrazia per cui i nostri Padri hanno combattuto; contro l’erronea presunzione che questi valori ci siano stati donati una volta per tutte, e non debbano invece essere alimentati e riconquistati ogni giorno.
Occorre resistere e reagire contro la perdita di senso dello Stato, lo Stato democratico che si è potuto edificare proprio grazie alla lotta di Liberazione; e quindi contro la perdita della consapevolezza che lo Stato siamo noi, che la Repubblica si chiama così perché è ‘Res Publica’: cioè ‘Cosa Di Tutti’.
Occorre resistere e reagire contro l’eclissi del senso della legalità, contro l’offuscamento della questione morale, contro il diffondersi di una certa squallida abitudine a considerare nemici, se non addirittura persecutori, gli organi che, in uno Stato democratico, e nel rispetto di tutte le garanzie costituzionali, sono legittimamente preposti a contrastare il delitto e le varie consorterie criminali,
assicurando così l’applicazione della legge.
Già nel lontano 1935 Harold J. Laski nel saggio “Democrazia in crisi” scriveva: “E’ significativo che in tutta la storia della democrazia parlamentare, non ci sia stato in alcun paese un grande statista, che fosse un uomo d’affari . […]
La ragione è che l’opinione pubblica non ha mai potuto ammettere la pretesa del capitalista di essere il fiduciario dell’interesse pubblico. Essa l’ha sempre considerato per quello che è: uno specialista nel fare denaro, e non ha mai 25 aprile 2012 Pagina 2 di 4
creduto che abbia senso di responsabilità fuori dell’ambito ristretto della sua classe.
Egli non ha mai considerato la legge come un complesso di principi che stanno al di sopra del suo
gretto interesse, ed ha sempre cercato, con mezzi leciti o illeciti, di farla interpretare ai suoi propri
fini. […] Perché credeva effettivamente nel suo diritto divino di comandare.” Ma chi erano i ragazzi che si sono battuti per la nostra libertà?

ILIO BARONTINI nel ’38, quando il consenso al regime fascista è all’apice della parabola, viene chiamato da Di Vittorio a formare un terzetto, li chiameranno ‘i tre apostoli’, con lo spezzino Rolla e il triestino Ukmar, con il compito di saldare le forze abissine, perché malgrado il pugno di ferro di Graziani, l’Etiopia non si era sottomessa. Barontini organizzò in Abissinia (col nome di Paulus) un forte movimento partigiano e un governo provvisorio di patrioti, in seguito il Negus dette a Barontini il titolo di vice-imperatore. Quando la Francia di Petain e di Laval è in ginocchio davanti a Hitler vincitore, Barontini è già al fianco dei partigiani francesi, i maquis, con il nome di Barone. E poi nel 43 il ritorno in Italia al lavoro nella resistenza, primo istruttore dei gappisti, con il nome
di battaglia Dario. In Emilia guida la battaglia decisiva sulla Linea Gotica, e agli Alleati consegna
una Bologna liberata.
Giorgio Amendola quando lo commemorò in parlamento disse che quando gli chiese cosa gli avesse dato tanto coraggio da intraprendere tutte quelle rischiosissime iniziative quando ne sarebbe bastata una per fare grande un uomo, ricevette questa risposta: “Sogno e Speranza illuminano il cammino futuro…….e sono prestiti fatti alla Felicità”.
A Massa Marittima, dopo l’8 settembre del 43, Norma Parenti, nonostante l’avanzata gravidanza, provvede ai rifornimenti ai partigiani. Il 29 dicembre dà alla luce un figlio, Alberto Mario, ma continua a rifornire i partigiani di armi e munizioni, a volte nascondendole nella carrozzina del suo bambino e offre temporaneo rifugio e soccorso ai ricercati politici, agli ebrei, agli sbandati. Ma la sera del 23 giugno 1944, mentre abbandonano Massa, gli ultimi militi della RSI con alcuni militari delle SS a seguito di una spiata si recano alla locanda “Roma” dei genitori di Norma. A Norma, che sta allattando, strappano il bimbo dal seno, la percuotono, la ingiuriano, la torturano e infine le sparano. Il cadavere di Norma venne prelevato il mattino stesso dagli uomini del CLN. E’ il 24 giugno, il giorno della liberazione di Massa Marittima.Norma Parenti è stata decorata Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria insieme ad altre 18
partigiane.

L’ A.N.P.I. di Massa Marittima la ricorda con questi versi di Italo Calvino: “O ragazza dalle guance di pesca / O ragazza dalle guance d’aurora / Io spero che a narrarti riesca / La mia vita all’età che tu hai ora” Nel ponente ligure un giovane di 22 anni, Furio Sguerso, agli inizi del ’44 lascia la scuola di volo di Venaria Reale ed entra nelle formazioni partigiane della Val Bormida nel savonese.
Diviene Vice-comandante di brigata e partecipa alla guerra di liberazione sino alla sua morte avvenuta il 26 ottobre 1944 a Savona, in un’imboscata fascista. Questa è la lettera che scrive al figlio qualche settimana prima di morire:
tu hai appena un anno e non vivi, beato, che per il sorriso della mamma e la scoperta quotidiana di tante piccole cose. […]
C’è qualcosa nell’aria che non preannuncia soltanto abbondanza di messi, ma anche stupenda soluzione al travaglio dell’umanità. […]
I giovani, disintossicati ormai da velenose ideologie, ritrovano la strada della dignità e dellagiustizia, che attualmente conduce sui monti. […] Ed in quest’opera, che a me sembra generosissima, sono stato più volte tacciato di egoismo.
Mi si rimprovera di non pensare a te e al tuo avvenire. 25 aprile 2012 Pagina 3 di 4 Non sanno, invece, che proprio in nome tuo trovo la forza di seguire una strada tanto faticosa. Quando sarai grande, guarderai anche tu al mio passato e dalle labbra ti uscirà una parola di ammirazione o di condanna. […] Se mi avrai approvato non rendermi plauso e non compiangermi per quanto ho fatto, poiché la vera gioia, il più grande premio, l’ho procurato a me nell’atto stesso di offrire. Se invece il tuo sentire non fosse uguale al mio, non disprezzare ti prego chi ha ritenuto di agire per
il bene. Quella dell’esempio è l’educazione che ritengo più adatta ed efficace, ma se nel mio pensiero come
negli atti tu vedessi vergogna ed incapacità, guarda negli occhi di tua madre e scorgerai la verità. Tuo padre.”
Il 6 luglio 1979 il Presidente della Repubblica Sandro Pertini concede la Medaglia d’Oro al valor militare per attività partigiana alla Provincia di Imperia. Questo è l’incipit del decreto presidenziale: “Illustre fra le genti Liguri per tradizione di fierezza, tenacia e antica adusanza a duro lavoro, in una terra aspra, impervia e avara di risorse, la popolazione imperiese, a prezzo di oltre 1200
caduti, 100 deportati, stragi, persecuzioni e distruzioni immani durate 20 mesi di occupazione
nazifascista, combatte’ la sua strenua Resistenza per la riconquista delle Patrie leggi e libertà, in
concorso e sostegno, spesso cruenti, con le sue forze partigiane.”

E 6 sono le medaglie d’oro alla memoria assegnate a giovani e giovanissimi imperiesi caduti da partigiani:
Felice Cascione (u Megu), 25 anni, medico chirurgo. Sergio Sabatini, 19 anni, studente. Marco Dino Rossi (Fuoco), 22 anni, studente.
Silvio Bonfante (Cion), 23 anni, marittimo. Roberto Di Ferro (Balletta), 14 anni, apprendista meccanico.
Franco Ghiglia (Gigante), 19 anni, operaio. Avviandomi alla conclusione vorrei ricordare a tutti noi che quest’anno la festa nazionale
dell’A.N.P.I. si terrà a Marzabotto dal 14 al 17 giugno e avrà come slogan “LA MEMORIA BATTE NEL CUORE DEL FUTURO”.
Carlo Smuraglia, il nostro presidente nazionale dell’A.N.P.I., spiega perché a Marzabotto (l’eccidio del Monte Sole tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, 770 vittime in 7 giorni): “Abbiamo scelto un luogo che “parla da sé” e che allo stesso tempo è in grado di costituire uno straordinario motore di partecipazione, di entusiasmo civile, di immersione nelle radici. Un concentrato simbolico
fortissimo: la memoria per costruire un futuro di libertà e democrazia.”
E vorrei chiudere l’orazione commemorativa rivolgendomi soprattutto ai più giovani che oggi sono qui con noi.
L’Italia ha un passato, come quello che oggi celebriamo, che è portante. E se l’Italia ha questo passato, noi abbiamo la responsabilità di ricordarlo, di farne oggetto di riflessione. Ricordatelo, cari giovani, ma soprattutto portatelo nel vostro cuore e nella vostra mente, in tutto ciò che farete, dovunque lo farete, perché la consapevolezza delle proprie radici è sempre motivo di sicurezza e legittimazione.
Viva il 25 Aprile
Viva la Costituzione della Repubblica Italiana