Il primo umano italiano è di Ventimiglia: l’homo sapiens è entrato nella penisola dai Balzi Rossi

26 ottobre 2011 | 13:46
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Il primo umano italiano è di Ventimiglia: l’homo sapiens è entrato nella penisola dai Balzi Rossi
Il primo umano italiano è di Ventimiglia: l’homo sapiens è entrato nella penisola dai Balzi Rossi
Il primo umano italiano è di Ventimiglia: l’homo sapiens è entrato nella penisola dai Balzi Rossi
Il primo umano italiano è di Ventimiglia: l’homo sapiens è entrato nella penisola dai Balzi Rossi
Il primo umano italiano è di Ventimiglia: l’homo sapiens è entrato nella penisola dai Balzi Rossi
Il primo umano italiano è di Ventimiglia: l’homo sapiens è entrato nella penisola dai Balzi Rossi

L’ipotesi potrebbe rivoluzionare il modello esposto dalla comunità scientifica internazionale aprendo nuovi scenari anche sulle modalità attraverso le quali i primi Homo sapiens si diffusero in Italia determinando la estinzione dei Neandertal

L’area preistorica situata ai Balzi Rossi, di Ventimiglia, al confine con la Francia, potrebbe essere stata la porta di ingresso in Italia dei primi gruppi di “Homo Sapiens”, circa 42 mila anni fa. L’importante scoperta storica e’ stata annunciata, stamani, dal sindaco della città di confine, Gaetano Scullino, secondo il quale il sito dei Balzi Rossi diventerebbe di fatto il più antico dell’ovest della Penisola con testimonianza di Homo Sapiens. Assieme al primo cittadino c’erano anche l’assessore all’Ambiente, Andrea Spinosi e il professore e ricercatore, Stefano Grimaldi, dell’Università di Trento, membro dell’equipe di lavoro internazionale di scavi che hanno interessato per il secondo anno il “Riparo Mochi”.

E’, infatti, questo il nome del sito all’interno dell’area dei Balzi Rossi sul quale per un mese si sono concentrati i lavori di ricercatori ed esperti alla scoperta di reperti archeologici. “Abbiamo studiato i manufatti per vedere la differenza tra gli ultimi neandertaliani e i primissimi Sapiens, trovando: lame, materie prime e oggetti fatti di pietra, costruiti su rocce di diversa provenienza italiana e francese (dalla valle del Rodano all’Appennino toscano e marchigiano, ndr) – ha spiegato Grimaldi -. Abbiamo trovato tutta una serie di dati che confermano la datazione antica e la rapidità di movimento di questa specie, aspetto inedito nell’ambito scientifico”.

La scoperta potrebbe rivoluzionare il modello esposto dalla comunità scientifica internazionale, aprendo nuovi scenari anche sulle modalità attraverso le quali i primi homo sapiens si diffusero in Italia, determinando la estinzione dei Neandertal. I dati emersi dal lavoro degli scavi sono stati inoltre elaborati dal prestigioso laboratorio per datazione di reperti archeologici, il Research Laboratory for Archaeology, di Oxford, nel Regno Unito. La notizia sarà a breve pubblicata anche sulla prestigiosa rivista americana “Journal of Human Evolution”.

Una scoperta fondamentale che, come auspicato da Grimaldi, potrebbe attirare l’attenzione di fondazioni internazionali sulla preistoria aprendo uno spiraglio di futuro per un sito archeologico di importanza internazionale attualmente poco sfruttato e senza lavori di manutenzione a causa della mancanza di fondi. Denominato in onore di uno noto archeologo dell’inizio del ‘900, Aldobrandino Mochi scomparso pochi anni prima della sua scoperta, il Riparo Mochi è stato oggetto di ricerche archeologiche da parte dell’Istituto Italiano di Paleontologia Umana (IIPU) fin dagli anni’30.

A partire dal 2007, le ricerche sono state riavviate dal dott. Angiolo Del Lucchese (Soprintendenza Archeologica della Liguria) in collaborazione con il dott. Stefano Grimaldi (Lab.di Preistoria “B.Bagolini” del Dipartimento di Filosofia, Storia e Beni culturali dell’Università di Trento e membro dell’IIPU).