Referendum “salva democrazia”. verso il traguardo delle 500mila firme. Il punto di Lara Trucco
“In vista il traguardo delle 500 mila firme! Siamo alle battute finali della prima fase dell’“iter referendario” che ha avuto “il via” lo scorso 11 luglio col deposito, in Cassazione, dei quesiti referendari…”
Referendum “salva-democrazia”: in vista il traguardo delle 500 mila firme! Siamo alle battute finali della prima fase dell’“iter referendario” che ha avuto “il via” lo scorso 11 luglio col deposito, in Cassazione, dei quesiti referendari e che mira ad abrogare la disciplina per l’elezione dei due rami del Parlamento, così come modificata, nel 2005, dalla legge n. 270, meglio nota come “porcellum” (volendosi alludere in modo “caricaturale”, con tale espressione, alle parole di “scarsa stima” riservate, a tale normativa, dallo stesso ministro proponente, Roberto Calderoli, all’indomani dell’approvazione parlamentare del testo).
Entro il 30 settembre, infatti, sarà necessario aver raccolto e depositato, sempre presso la Corte di cassazione, le (almeno) 500 mila firme necessarie per tentare di raggiungere lo scopo. Dopodiché i quesiti, se dichiarati regolari, saranno trasmessi, entro il 15 dicembre, dalla Corte di cassazione alla Corte costituzionale e, quest’ultima, a sua volta, entro il 10 febbraio del prossimo anno, si pronuncerà sulla loro ammissibilità costituzionale, sgombrando finalmente il campo all’indizione dei referendum, da parte del Presidente della Repubblica, in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno 2012.
Come si vede, si tratta di un procedimento assai complesso, che coinvolge “organi” chiave del circuito istituzionale (dal corpo elettorale al Capo dello Stato).
Nel caso di specie, poi, si è verificata una corsa contro il tempo, dato che alla decisione di dar corso all’iniziativa ha contribuito in modo decisivo – volendo riprendere le parole del Capo dello Stato – la felice “prova di democrazia”, che si è avuta in occasione dei referendum di giugno su acqua, nucleare e legittimo impedimento, su cui si è votato, si ricorderà, quando la calura estiva ormai stava cominciando a farsi sentire, col consolidare la convinzione in gran parte dei cittadini di dover fare qualcosa perché sul sistema elettorale vigente non calassero il silenzio e l’indifferenza della società civile. Ciò che, peraltro, è andato ad aggiungersi alla consapevolezza del rischio di tornare alle urne con l’attuale sistema e di dovercelo tenere per (almeno) un’altra, intera, legislatura e poi magari ancora chi sa per quanto.
La legge “sui referendum”, n. 352 del 1970, infatti, pone divieto di depositare richieste referendarie “nell’anno anteriore alla scadenza di una delle due camere e nei sei mesi successivi alla data di convocazione dei comizi elettorali per l’elezione di una delle camere medesime”, per cui, dato che le prossime elezioni si svolgeranno al più tardi nel 2013, quello che sta passando rappresenta l’ultimo treno utile per cambiare, per via referendaria, la situazione.
Ma v’è stata anche una corsa contro la burocrazia, data la difficoltà di preparare a norma di legge e diffondere in modo capillare il materiale necessario per raccogliere le firme. Difficoltà che, peraltro, non lo si nasconde, è stata acuita, da un lato, dalla ristrettezza di risorse economiche a disposizione, e, dall’altro lato, dall’impossibilità di poter contare sul sostegno dei partiti più forti e più radicati nel territorio, alle prese con lacerazioni interne e crisi di identità (almeno in questa particolare materia), che speriamo sappiano presto superare in modo da mettersi, finalmente, a tempo pieno, a disposizione prima di tutto della società civile.
Senza con questo volerci sbilanciare troppo prima di avere “certezze” sul numero di firme sinora raccolto, è possibile, però, già constatare come, nonostante tutto, la risposta che si è avuta in Liguria (così come, del resto, a quanto ci risulta in molte altre regioni…) sia stata, almeno finora, più che positiva, al punto che è stato proprio un flusso “alle firme” rivelatosi superiore ad ogni migliore previsione ad aver finito per mettere a dura prova il “capitale umano” organizzato “in banchetti” sul territorio, così come gli stessi uffici comunali, generando, purtroppo, in alcuni casi, taluni disagi… Ma, al di là dell’entusiasmo delle persone che si affollavano e che continuano ad affollarsi per firmare, degna di nota è l’unità di intenti e le forme di solidarietà (ad esempio, proprio col fornire i moduli a chi li aveva finiti…) manifestata tra chi presidiava i vari banchetti (sovente affiancati, in quanto dislocati per le vie principali delle città…), di colore politico quanto mai vario, epperò accomunati dall’importante obbiettivo di mettere definitivamente nel dimenticatoio un sistema elettorale truffaldino, col restituire agli elettori un qualche potere di scelta delle persone da cui vogliono farsi rappresentare. Comunione di intenti che, peraltro, ci si permette di considerare, potrà rivelarsi un elemento decisivo per il successo dell’iniziativa referendaria, specie se si condivide l’idea della necessità che questa non si identifichi con una determinata formazione politica, ma venga percepita per quello che è, vale a dire, uno “strumento di tutti” (potrebbe forse dirsi “un bene comune”) funzionale al conseguimento di un risultato positivo “per tutti”, ovvero, in ultima analisi, per la democrazia.
Ora, i profili più controversi del sistema elettorale vigente per le elezioni politiche sono stati messi da più parte in luce, e per questo non è il caso che tediamo i lettori sul punto, se non per richiamare l’essenziale. Così, in particolare, deve constatarsi come esso emargini ogni pratica valenza del voto individuale, facendo sì che, come ormai generalmente ammesso, il Parlamento costituisca un luogo non (più) di eletti, ma di nominati.
Più nello specifico, al di là della risicata capacità di scelta sul piano “numerico”, da parte dell’elettore, a cui è attribuito un solo suffragio, un primo fattore che produce un considerevole “indebolimento” della “forza” (intesa come capacità di incidenza del suffragio sul risultato finale dell’elezione) dello stesso voto individuale è data dall’impossibilità di dare una qualche preferenza al candidato che più piace/convince. Il sistema vigente, infatti, prevede l’associazione del “voto singolo” con liste blindate: ciò, in concreto, vuol dire che all’elettore è consentito soltanto di dare il proprio voto ad una lista nell’ordine di presentazione delle candidature prefissato dai partiti, senza poter esprimere, per l’appunto, alcuna valutazione nei confronti di singoli candidati, ma dimostrando di accettare la scelta compiuta “a monte” da chi (i capi di partito) ha la forza di stabilire la composizione delle liste medesime, con quanto di negativo ne consegue – e che può facilmente immaginarsi – riguardo al reclutamento della classe politica italiana, come, purtroppo, ben sappiamo…Liste che, peraltro, sono composte da decine e decine di nomi di candidati (tanto da venire ironicamente denominate “liste lenzuola”), nell’ambito delle quali, in forza del congegno delle c.d. “candidature plurime”, ci si può candidare in più collegi (ed al limite anche in tutti!), optandosi, nel caso in cui si vinca in più collegi, per quello in cui si vuole risultare eletti, con buona pace della possibilità per gli elettori di seguire la sorte del proprio suffragio (basti dire che in occasione delle elezioni politiche del 2006 si sono presentati quasi trecento casi di opzioni concatenate (!)).
Una tale situazione risulta ulteriormente aggravata, da un lato, dal complesso meccanismo delle c.d. “soglie di sbarramento multiple” (ovverosia, dalla previsione di una percentuale minima di voti che è necessario conseguire per poter vedersi assegnare un qualche seggio), per cui, a differenza, per esempio, del sistema tedesco (in cui la soglia è unica ed è pari al 5%), da noi essa varia a seconda che ci si presenti in liste di candidati o in coalizioni di liste e sono anche previste delle deroghe (all’esclusione dall’assegnazione dei seggi) alle formazioni, per così dire, risultanti “migliori perdenti”. E, dall’altro lato, dalla previsione di un cospicuo ed incondizionato premio di maggioranza per chi sia comunque vincente, rendendo possibile – come messo problematicamente in luce dalla stessa dalla Corte costituzionale (nella sentenza n. 15 del 2008) – che una maggioranza anche del tutto esigua e/o solo apparentemente più compatta delle altre, venga “trasformata” ex lege in una maggioranza assoluta di seggi.
Insomma, una tale situazione porta i più attenti osservatori a considerare come, in applicazione di un tale sistema di elezione, ben poco sia lasciato al caso, contraddicendosi gravemente, con ciò, ai dettami del giudice costituzionale (segnatamente, nella sentenza n. 4 del 2010), nonché, in modo ancor più radicale, al ruolo che in qualunque democrazia degna di questo nome deve essere riconosciuto all’elettore.
Non ci si può dunque stupire se, in questo quadro, anche molti dei sostenitori della “riforma per via parlamentare” del sistema elettorale, una volta constatata la difficoltà, se non vera e propria impossibilità, che a cambiare le cose in senso migliorativo siano gli stessi soggetti “controinteressati” (ovvero, coloro che hanno convenienza a lasciare le cose come stanno…), hanno infine aderito all’iniziativa referendaria, nella consapevolezza, se non altro, della sua idoneità a funzionare da input per il legislatore (come del resto sta emergendo dalle reazioni delle forze politiche in questi giorni, man mano che il traguardo delle 500 firme si sta facendo più concreto). Per diverso profilo, sono noti i limiti di tale strumento: particolarmente, il fatto che esso può solamente “togliere” (ovvero, per l’appunto, “abrogare”) quel che già c’è nella legge e non anche aggiungere o modificare.
Ad ogni modo, il risultato che si produrrebbe in seguito ad una tale sottrazione/eliminazione, sarebbe il “ritorno” del sistema maggioritaria” del 1993: ovverosia, il c.d. Mattarellum (volendosi anche qui alludere, ironicamente, al nome del relatore dei testi, Sergio Mattarella).
Ebbene, ci si limita a rilevare, senza entrare troppo nei tecnicismi, come un tale sistema presenterebbe il non trascurabile pregio di apportare degli elementi migliorativi rispetto al sistema vigente, col ridimensionare/abbattere i meccanismi distorsivi di cui si ragionava in precedenza (candidature plurime, soglie multiple, premio di maggioranza) e, soprattutto, di restituire lo scettro della scelta dei candidati agli elettori, dato che il 75% dei seggi verrebbe assegnato (così come sono assegnati i seggi nella democratica Inghilterra) ai candidati preferiti (uno per collegio, ovvero in collegi uninominali), dagli elettori. Da questo punto di vista non paiono dunque condivisibili le tesi di chi sostiene che il sistema sarebbe “blindato” com’è adesso, vuoi perché vi sarebbe una certa convenienza a proporre ora candidati “di valore”, vuoi perché potrebbero presentarsi, se lo vogliono, anche candidature indipendenti, vuoi, ancora e soprattutto perché l’esito del voto sarebbe nelle mani degli elettori. A
gli elettori tornerebbe, cioè, ad essere riconosciuta la possibilità di “premiare” o invece “sanzionare” chi li ha rappresentati, come del resto dev’essere in democrazia, non potendoci essere potere (politico) senza responsabilità (politica) e l’elezione è proprio lo strumento in mano agli elettori per poter far valere una tale “responsabilità” (mentre la constatazione che, in molti casi, un tale strumento venga “male utilizzato” è un altro problema legato alla necessità di promuovere una cultura democratica, attenta, nello specifico dell’elezione, ad operare un reclutamento “meritocratico nell’imparzialità” della classe politica…).
Il fatto, poi, che il restante 25% dei seggi continuerebbe ad essere attribuito con metodo proporzionale (mirando, cioè, ad assegnare un certo numero di seggi parlamentari in ogni collegio, in rapporto ai voti ottenuti da ciascuna lista di partito) sulla base del voto blindato, viene visto positivamente da parte di chi ritiene opportuno che venga comunque assicurato un certo pluralismo politico. Anche se, certamente, la “blindatura”, delle liste e taluni meccanismi “di favore” per i piccoli partiti previsti in tale parte proporzionale – segnatamente il c.d. “scorporo”, consistente nella detrazione dai voti totali ottenuti dalle liste nella parte proporzionale dei voti necessari per conseguire seggi nella parte introdotto in occasione della “svolta maggioritaria – dovranno essere aggiustati. Per questo, il seguito parlamentare della consultazione referendaria andrà “sorvegliato” con grande attenzione. Si ricordi, tuttavia, come su questa parte del Mattarellum si fosse già tentato d’incidere con un nuovo referendum fallito per l’interessata apatia indotta negli elettori dalle maggiori forze politiche.
Preso atto di tali profili problematici, non è però possibile condividere l’idea che “anche se la casa crolla è opportuno tenercela essendo, comunque, meglio di una baracca…”. Ed infatti qui non si tratta (ancora) di discutere del “tetto della casa” (ovvero di “formule” elettorali maggioritarie piuttosto che proporzionali), ma, ben prima, di ripristinare le fondamenta dell’edificio (ovvero, un certo valore del suffragio), facendo sì che (almeno con probabilità maggiori) si possa dar forma, la prossima volta, ad un Parlamento non più solo di nominati (e già questo sarebbe un miglioramento), ma di rappresentanti almeno in parte legittimati democraticamente. Da un punto di vista tecnico, ad un tale risultato si vuole approdare nel percorrimento di due strade, per così dire, “convergenti” (che, peraltro, la Cassazione potrebbe decidere, non appena depositate le 500 mila firme, di “concentrare”, constatata, ai sensi della legge “sui referendum”, l’“uniformità o analogia di materia”). Così, il primo quesito (individuato dal colore blu sui moduli per la raccolta delle firme), propone l’abrogazione integrale della legge n. 270 del 2005, ovvero delle “Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica” dalla stessa introdotte. Il secondo quesito (individuato, questa volta, dal colore rosso), è di tipo, invece, “parziale”, perché abroga non l’intera “legge porcellum”, ma le singole disposizioni di modifica (una ad una) del precedente sistema elettorale.
L’esito è, peraltro, sostanzialmente identico, puntandosi, in ambo i casi (sia pure, con tecniche diverse), ad eliminare (rectius: abrogare) la disciplina normativa “sostitutiva” introdotta dal porcellum, con l’effetto di ripristinare quella “sostituita” (c.d. “reviviscenza” delle norme precedenti, in seguito all’abrogazione), vale a dire, appunto, il Mattarellum. Una tale tecnica, mentre, da un lato, diminuisce il rischio del prodursi di vuoti legislativi – che, peraltro, la Corte costituzionale mai accetterebbe, data la necessità di poter sempre contare su di una disciplina elettorale che permetta di tornare in qualunque momento alle urne, in caso di scioglimento anticipato delle Camere –, dall’altro lato, aumenta, per contro, le probabilità che lo stesso giudice costituzionale – la cui giurisprudenza in materia è notoriamente assai rigorosa – apra le porte referendarie al voto del corpo elettorale. Insomma, le motivazioni per sostenere l’iniziativa referendaria non mancano.
Manca, invece, come si accennava all’inizio, poco più di una settimana alla chiusura della fase iniziale dell’“iter”, ed è importante che tutti coloro che amano sinceramente la democrazia e questo straordinario Paese, che è l’Italia, diano urgentemente il loro contributo in un momento così essenziale per un futuro di ritrovata pace sociale e rinnovata prosperità.