Peppino Mazotta alla F.O.S, dal teatro di ricerca a Montalbano

5 giugno 2011 | 19:10
Share0
Peppino Mazotta alla F.O.S, dal teatro di ricerca a Montalbano

La recitazione di Mazzotta, che interpreta da solo tutti i personaggi principali della trilogia, è un pugno nello stomaco, un’ondata di voci innaturali, di sussurri amplificati dall’uso dei microfoni

Sabato 4 giugno alla Federazione Operaia Sanremese di via Corradi Peppino Mazzotta e Stefano Delfino hanno conversato con il pubblico per l’ultimo dei tre incontri programmati dal Teatro dell’Albero in collaborazione con il Museo civico di Sanremo, dopo i precedenti incontri con Marco Baliani e Ottavia Piccolo. Caratteristica di questi appuntamenti è stata la loro collocazione temporale, a sole due ore dallo spettacolo che i protagonisti della rassegna teatrale l’Albero in prosa hanno tenuto nelle sala Beckett di San Lorenzo al mare.
Dietro la maschera…incontri di teatro ha dato delle belle soddisfazioni agli appassionati che sono entrati all’interno della costruzione dello spettacolo e approfondito la conoscenza con i protagonisti della rassegna. Peppino Mazzotta non ha deluso le signore che lo conoscevano solo per la sua partecipazione alla serie televisiva del commissario Momtalbano: perfetto esempio di bellezza interiore mediterranea (come leggo di lui su un blog tutto femminile dal nome evocativo di "Gnoccopoli") scopriamo che Mazzotta inizia a fare teatro ai tempi delle sua iscrizione ad architettura e questa subitanea passione lo distoglie dagli studi, non tanto quelli universitari ma più dolorosamente dalla sua vocazione di musicista classico a cui pensa ancora con rimpianto. I suoi primi dieci anni di carriera si svolgono tutti in teatro attraverso le prime esperienze della compagnia Rosso Tiziano, da lui fondata insieme a cinque compagni dell’accademia teatrale di Palmi, passando poi attraverso la costituzione della seconda compagnia I Teatri del Sud con cui crea e approfondisce una drammaturgia dialettale di grande forza espressiva tra cui l’ Arrobbafumo di Francesco Suriano, portato negli anni scorsi anche sul palcoscenico dell’Albero in prosa. Parla volentieri anche delle esperienze cinematografiche e televisive che gli hanno dato notorietà presso il grande pubblico e che nel contempo gli permettono di produrre in autonomia economica i progetti di drammaturgia contemporanea che gli stanno più a cuore. A proposito dello spettacolo della serata, Radio Argo, di cui è interprete e co-autore insieme al poeta napoletano Igor Esposito, Mazzotta si limita a dirci che si tratta di una riscrittura personale della trilogia dell’ORESTEA di Eschilo (non proprio una cosetta!) e racconta dell’espediente di aver sostituito il ‘coro’ greco con uno speaker radiofonico che commenta l’azione dall’esterno.
Giustamente incuriositi ci rechiamo a teatro alle 21 dove ci accoglie un scenografia lugubre e funerea costituita da tre postazioni microfonate e diversi lumini mortuari raggruppati a terra.
La recitazione di Mazzotta, che interpreta da solo tutti i personaggi principali della trilogia, è un pugno nello stomaco, un’ondata di voci innaturali, di sussurri amplificati dall’uso dei microfoni, che comunicano il malessere di una vicenda che non lascia alcuna speranza. Il testo è divenuto la trasposizione cruda dell’antica vicenda in un linguaggio allucinato, in cui si annusa l’odore del sangue fin dalla comparsa in scena dell’adolescente Ifigenia che si avvia inconsapevole al macello condotta dal padre Agamennone. Una ragazzina trucidata dal padre a causa della ragion di stato, l’uccisione del Re dei re al ritorno dalla guerra decennale, per mano della moglie Clitennestra e del suo amante Egisto (un essere teatralmente disgustoso) e infine l’obbligo della ‘giusta’ vendetta del figlio Oreste che trucida madre a amante per vendicare il padre, sono le tappe di una storia che l’attore ripercorre passando con fatica da una postazione all’altra con una sedia a rotelle, simbolo del potere minato dalla maledizione di una stirpe regale senza pace. Sono evidenti le analogie tra l’antico prevalere della ragion di stato sulla coscienza umana e l’attuale realpolitik, soprattutto nel discorso delirante di Agamennone che arringa la folla al suo ritorno.
Tra una voce e l’altra, il suono di radio Argo punteggia la vicenda con una partitura di stridori, rumori e improbabili canzoni: Mazzotta forza le corde vocali con una recitazione allucinata, coprendosi con pochi e simbolici abiti di scena che via via abbandona per comparire nel finale con il volto insanguinato di Oreste (che però ricorda un trucco sfatto da clown) il quale si presenta davanti al tribunale dell’Aeropago dichiarando il rimorso eterno della sua coscienza e insieme l’ineluttabilità del gesto che ha compiuto. Come suo padre prima di lui, Oreste " ha immerso il collo nel collare della necessità."
Teatro zeppo al limite delle possibilità fisiche e applausi convintissimi per un attore tra i più potenti ed efficaci della sua generazione.

Paola Silvano