Marco Baliani calvaca in Groppa a una sedia: Kohlhaas incanta il pubblico del Teatro dell’Albero

29 maggio 2011 | 17:24
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Marco Baliani calvaca in Groppa a una sedia: Kohlhaas incanta il pubblico del Teatro dell’Albero

L’ospite di questa settimana è stato Marco Baliani (1950), attore, autore e regista dall’attività composita che ha portato in Riviera il Kohlhaas tratto da “Michael Kohlhaas” di Heinrich Von Kleist

Sabato 28 maggio, secondo appuntamento al Museo civico per la rassegna Dietro la maschera…incontri di teatro, organizzata per iniziativa del Teatro dell’Albero e stuzzicante anticipo dello spettacolo serale andato poi in scena alle 21, nella sala Beckett di San Lorenzo al mare.
L’ospite di questa settimana è stato Marco Baliani (1950), attore, autore e regista dall’attività composita che ha portato in Riviera il Kohlhaas tratto da "Michael Kohlhaas" di Heinrich Von Kleist, e scritto a quattro mani con Remo Rostagno nel 1990, che è divenuto ormai un cult, con centinaia di rappresentazioni e amatissimo dal pubblico e dalla critica.

Non è facile trasmettere al grande pubblico, che si lascia ispirare solo da chi passa in tv, il sentimento della grandezza di Baliani perché il suo lavoro e le sue affermazioni, innumerevoli e pluripremiate rispondono, fin dall’inizio della sua carriera, ad un suo criterio personalissimo di cosa deve essere il teatro per non servire esclusivamente da ‘digestivo’ dopo pasto.
Il giornalista Stefano Delfino, che conduce questi incontri pomeridiani con una signorilità mai abbastanza lodata, ha lasciato intravedere la ricchezza immensa delle esperienze di questo attore lasciandogli poi tutto lo spazio necessario per restituire una storia teatrale che ha pochi eguali nel panorama italiano e internazionale.
Lo spunto di partenza della conversazione è stato il libro di Baliani Ho cavalcato in groppa a una sedia edito da Titivillus in cui l’attore e scrittore ha radunato i pensieri e le riflessioni che hanno accompagnato il suo lungo tragitto dentro la sperimentazione del teatro di narrazione. Sono stati vent’anni di teatro percorsi in continua ricerca di un teatro ‘incivile’ nel senso di non corretto, privo della sicurezza di chi sa mettere i buoni e i cattivi nel posto giusto ma sparigliando invece le carte: parola d’ordine spiazzare, colpire al cuore e lasciare inquietudini memorabili, potenti. Sempre alla ricerca di un pubblico non convenzionale che mai andrebbe a teatro di propria volontà, Baliani venticinquenne se ne va nelle strade con il suo gruppo Ruotalibera, a prendersi quel pubblico, con gioiosi trabocchetti, facendolo inciampare nel teatro, facendolo ridere o soffrire a seconda dei casi ma senza permettergli mai di restare indifferente.
Durante la conversazione Baliani si spende con generosità, stimolato dalle domande di Stefano Delfino e incurante del fatto di dover recitare da lì a un paio d’ore e ci offre un affresco sorprendente di quegli anni giovanili così improvvisati e creativi, di cui lui conserva intatto lo stupore e la limpidezza con cui guarda il mondo, condizione prima per poter continuare a lavorare in modo non banale.
Il suo teatro è fatto di lavoro corale, deve essere una creazione collettiva, una bottega di personalità eterogenee come nelle fabbriche delle cattedrali romaniche dove i mastri operai sono artigiani completi e competenti in tutte le fasi della costruzione dell’opera.
La predilezione che Marco Baliani ha sempre avuto per il lavoro collettivo non gli ha impedito però di essere l’iniziatore e l’inventore, sulla fine degli anni ottanta, di quello che oggi si chiama teatro di narrazione, un uomo solo in scena, che ha avuto il suo spettacolo- manifesto proprio in Kohlhaas.
Il titolo del libro è infatti la sintesi simbolica dello spettacolo a cui abbiamo assistito in serata: per una di quelle sfide che caratterizzano tutta la sua ricerca, Baliani impone a se stesso la limitazione di recitare seduto su una sedia ma il suo lavoro ininterrotto sulla propria corporeità accompagna tutto il testo e ci restituisce con gesti e suoni simbolici ed essenziali il galoppo dei cavalli di Kohlhaas, le azioni di battaglia, recinti e scuderie, l’ampiezza sconfinata degli spazi naturali.
La cosa più sorprendente è che Baliani riesce a mostrarci con pochi gesti nitidi anche il cerchio oscuro del cuore dell’allevatore Kohlhaas, che si fa sempre più nero e fondo man mano che egli si ostina a cercare una giustizia umana che gli sarà sempre negata.
Solo in scena, immerso in un silenzio assoluto, Baliani è entrato nella pelle di Kohlhaas per la 952sima volta in poco più di vent’anni. Del testo di Von Kleist non è rimasto nulla salvo la trama della storia vera di Michael Kohlhaas l’allevatore che si fa massacratore di innocenti in nome della giustizia umana.
Oggi Baliani indossa Kohlhaas come una seconda pelle e attraverso una partitura fittissima di segni e rumori rende visibile l’invisibile, che è poi il compito ultimo di un attore: tira e strattona il filo che parte dai nostri cuori e che lui tiene saldamente in mano, aprendo ferite e voragini come succede nella carne dei pesci presi all’amo, procurandoci emozioni non epidermiche, emozioni di buona qualità.
Cavalchiamo tutti idealmente dietro di lui, trascinati dal galoppo delle sue scarpe sulle tavole del palcoscenico e ascoltiamo con il fiato sospeso il racconto di una ingiustizia subita che si tramuta in una Ingiustizia altrettanto insensata che Kohlhaas stesso infligge ad altri esseri umani innocenti.
Il quesito è sempre il medesimo, che attraversa i secoli insolubile e più che mai di stretta attualità, si può rispondere ad una ingiustizia ricevuta scatenando una vendetta che travolge gente incolpevole?

Ovazione di tutto il pubblico in piedi, alla fine di un’ora e venti minuti tiratissimi durante i quali anche le mosche si sono fermate in platea (gratis) ad ascoltare.
La soddisfazione e l’emozione erano palpabili e uscendo, la mia vicina di posto e io ci siamo date appuntamento per il prossimo sabato, ormai complici dopo la terza serata trascorsa gomito a gomito: sono le gioie ineffabili di noi abbonati del Teatro dell’Albero, stesso posto, rapporti consolidati con i vicini, stesse emozioni condivise. Che viva sempre il teatro!

Per saperne di più su Marco Baliani: www.marcobaliani.it