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Riflessioni di Pierluigi Casalino sulla caccia alle streghe

1 giugno 2010 | 05:55
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Riflessioni di Pierluigi Casalino sulla caccia alle streghe

L’Inquisitore Genovese aveva giurisdizione su tutta la Liguria: un suo Vicario si era insediato a Ventimiglia durante i processi contro le streghe di Bajardo e durante la “caccia alle streghe” di Triora

La caccia alle streghe e alle persone sospette di eresia appariva un dovere anche per il potere civile, pena la scomunica. Su ordine dell’Inquisitore chiunque risultasse colpevole di tali crimini o ne fosse complice, veniva arrestato e imprigionato. L’Inquisitore Genovese aveva giurisdizione su tutta la Liguria. Un suo Vicario si era insediato a Ventimiglia durante i processi contro le streghe di Bajardo e durante la “caccia alle streghe” di Triora. Se le accuse erano gravi, gli arrestati erano trasferiti a Genova, per essere rinchiusi nelle segrete della Repubblica. Concluse le istruttorie contro le streghe di Triora, l’Inquisitore Genovese trasmise gli atti al Sant’Uffizio Romano. Il Governo della Superba interpellò presto la Congregazione Romana, preoccupato dell’età avanzata e delle precarie condizioni di salute delle povere donne del borgo ligure. Una prova questa del diverso atteggiamento di Genova rispetto al fanatismo che conobbe la Spagna. In Spagna era sufficiente essere un inglese per essere condannato e bruciato come eretico. Stessa fine faceva anche il suo cavallo. La procedura dei processi era spietata.  A Triora le torture inflitte alle streghe furono davvero terribili e “inumane”, come ebbe modo di riconoscere in una lettera al Sant’Uffizio lo stesso Doge Genovese. A Triora le streghe furono sottoposte alla pena del cavalletto, della veglia, della corda e del fuoco. Particolarmente straziante era la prova del cavalletto che consisteva nel legare la vittima a un tavolaccio, stringendola con corde opportunamente strette e allentate dal boia, fino a penetrare e lacerare le carni delle sventurate. Le torture potevano protrarsi per 15 ore.  Se alla domanda “credi alle streghe” le donne rispondevano affermativamente, la circostanza era considerata come l’aperta ammissione di essere “figlie del demonio”. Una risposta negativa veniva, d’altra parte, accolta come la confessione di eresia. Si diceva che le streghe erano dedite a fare sortilegi o malefici. In spregio e concorrenza rispetto alla comune devozione e alla religione. Aspetto non trascurabile nel contesto storico in cui il fenomeno si manifestò. L’eresia e la stregoneria erano viste anche come posizioni di dissenso verso principi e sovrani, che nel XVI e XVII secolo, in pieno clima di guerre di religione, cercavano di rafforzare e salvare la loro influenza sui loro sudditi. Le streghe avevano la possibilità di diffondere epidemie, ma anche possedere antidoti contrari. A Cervo, ad esempio, santoni, stregoni o streghe erano depositari di rimedi, tra fede e superstizione, contro malattie e altri flagelli. Il confine tra il sacro e il profano era, quindi, assai sottile.

Pierluigi Casalino