I giovani del Pdl intervengono sullo sciopero degli scrutini al liceo G.P Vissieux di Imperia
La notizia dello sciopero degli scrutini, al quale i docenti del Liceo Scientifico G.P.Vieusseux di Imperia hanno aderito, non può che lasciare perplessi e sconfortati.
La notizia dello sciopero degli scrutini, al quale i docenti del Liceo Scientifico G.P.Vieusseux di Imperia hanno aderito, non può che lasciare perplessi e sconfortati. Leggere nel comunicato stampa che l’agitazione è promossa “per manifestare il loro radicale dissenso contro la dissennata e sistematica distruzione della scuola pubblica messa in atto dall’attuale governo” fa rimanere
alquanto sbigottiti. Le parole sembrerebbero più appropriate per il segretario di un partito che per dipendenti pubblici, i quali dovrebbero garantire terzietà e imparzialità nelle esercizio delle proprie funzioni.
Non è un caso che la dottrina in materia ritenga che una delle poche limitazioni alla libertà d’insegnamento, sancita dall’art. 33 della nostra Costituzione, sia il diritto dei discenti di ad un insegnamento e trattamento più imparziale possibile. Per quello che riguarda la forma della protesta, bisogna sottolineare come questa sia la meno apropriata sotto molti punti di vista. Innanzitutto perché un vero e proprio “blocco” degli scrutini non è fattibile, essendoci i limiti legali della legge 146/1990 e della legge quadro del 1998.
Quello che verrà fatto sarà una mera melina, un prolungarsi (limitato, in base alla normativa, a pochissimi giorni, pena sazione pecuniaria) dei tempi. Inoltre, per legge, questo di tipo di protesta non è estendibile agli studenti dell’ultimo anno, i quali devono sostenere l’esame di Stato e che vedrebbero in uno slittamento un’ingiustifacata violazione dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Significativo è anche il fatto che l’ex-ministro di sinistra Fioroni si sia schierato recentemente contro il blocco, memore, probabilmente, della scarsa approvazione nell’opinione pubblica della quale hanno goduto i precedenti.
Venendo alle argomentazioni, esse rivelano, per alcuni versi, una sconcertante ignoranza della materia e, per altri, una difesa corporativistica non della scuola, ma dei propri interessi economici. In primis, l’accusa al Governo di attuare “il più grande licenziamento della storia della Repubblica” è falsa, in quanto, per legge, i dipendenti pubblici non sono licenziabili. Ci sarà certamente una riduzione del personale, ma conseguentemente al blocco del turn-over e non a licenziamenti.Riduzione imposta all’Italia dalle massime autorità europee, che da tempo sottolineano il paradosso italiano che pone il nostro Paese in cima alla classifica europea del rapporto tra professori e alunni. In Italia c’è un docente ogni 11 studenti, quando la media Ocse è di uno ogni 13,3.
Un progressivo ridimensionamento era, non a caso, già stato previsto nel libro bianco dei ministri Fioroni e Padoa-Schioppa del governo Prodi, ripreso nel decreto 133/2008 dall’attuale Governo. La riduzione,quindi, è necessaria per assicurare una maggiore razionalizzazione delle risorse, evitando, come evidenziato dal resoconto 2008 del Ministero dell’Istruzione, di spendere il 97% dei fondi dedicati all’istruzione per pagare stipendi. Ed è, inoltre, falso affermare che una riduzione del numero d’inseganti comporti una riduzione della qualità scolastica. Prova di ciò è la Germania, la quale ha un insegnante ogni 15,5 studenti e si impone come leader nel panorama mondiale dei sistemi scolastici. Stesso discorso vale per l’innalzamento delle età pensionabile delle donne a 65 anni.
Il Ministro Sacconi ha tentato di mediare, ma la Commissione Europea è stata intransigente e un’eventuale non rispetto della disposizione costerebbe allo Stato 714 mila euro al giorno. Per quello che riguarda il blocco dei contratti di lavoro, è chiaro che la manovra, studiata dal Governo per far fronte alla crisi internazionale e ritenuta appropriata dall’Unione Europea, chiede un
assunzione di responsabilità ai dipendenti pubblici, i quali negli scorsi anni hanno visto i lorostipendi aumentare più di quelli dei dipendenti privati: 42,5 per cento in dieci anni le retribuzioni pubbliche, rispetto al 24,8 per cento dei privati, secondo quanto espresso dalla Corte dei Conti.
Inoltre, i dipendenti pubblici hanno la garanzia del posto di lavoro, non possono essere licenziati e
non rischiano di andare in cassa integrazione. Sembra, quindi, corretto chiedere ad essi un particolare sacrificio per il risanamento e la stabilità dello stato. C’è da chiedersi, infine, se essi preferiscano una riduzione del 5% dei propri stipendi come avvenuto nella socialista Spagna di Zapatero.