Processo per usura a Bianchi e Porzio: gli avvocati della difesa chiedono il proscioglimento
Chi sarebbe la vittima dell’usura hanno domandato gli avvocati della difesa? Di certo non quella presunta, ovvero Gasparetto, che dall’operazione ha tratto solo benefici. Per queste ragioni gli avvocati hanno chiesto il proscioglimento degli imputati.
Questa mattina, davanti al Collegio del tribunale di Sanremo, sono andate in scena le arringhe dei difensori di Giuseppe Bianchi e Pier Maria Porzio, accusati di usura. Il processo riguarda il capo “N” del maxi processo per corruzione, concussione e altri reati che vede sotto inchiesta una decina d’anni di edilizia privata nel Comune di Taggia.
La vicenda, risalente al 1999, riguarda un prestito di un miliardo di vecchie lire che l’imprenditore Giuseppe Bianchi avrebbe concesso all’imprenditore Sandro Gasparetto. Secondo le stesse dichiarazioni di Gasparetto, quest’ultimo sarebbe stato costretto a rifondere 1 miliardo e 700 milioni nel giro di un anno. Bianchi e Porzio quindi avrebbero applicato a Gasparetto un interesse usuraio. Il pubblico ministero Marco Zocco aveva chiesto 5 anni di reclusione e il pagamento di 12 mila euro per Bianchi e 4 anni e il pagamento di 9 mila euro per il suocero di lui, Pier Maria Porzio.
Gli avvocati della difesa, rappresentata da Giuliano Pisapia e Alessandro Moroni per Bianchi e da Vincenzo Icardi per Porzio, hanno chiesto l’assoluzione degli imputati perché il fatto non sussiste. Secondo le ricostruzioni degli avvocati infatti, si tratterebbe di una normale operazione immobiliare, che prevedeva in caso di impossibilità a pagare la consegna di alcune ville finite ad Ospedaletti. L’accordo fatto nel 1999 prevedeva da un lato la vendita di 4 lotti al prezzo di 1 miliardo di lire, già pagati. I lotti, non dovevano essere consegnati subito ma al 31 dicembre 2000. In alternativa Gasparetto poteva consegnare 2 ville finite al prezzo di 1 miliardo e 500 milioni l’una quindi per 3 miliardi in totale. Secondo Gasparetto il valore dei lotti era inferiore.
Ma Gasparetto incontrò un nuovo finanziatore, l’imprenditore Terruzzi, che gli propose una condizione economica migliore, tale da fargli decidere di sottoscrivere un accordo preventivo di vendita dei terreni già impegnati con Bianchi con il nuovo soggetto. Nel gennaio del 2000 Gasparetto propose a Bianchi e Porzio di sciogliere il rapporto in cambio di 1 miliardo e 700 milioni ottenibili dal calcolo degli interessi. Alla sottoscrizione Gasparetto consegnò la somma in assegni con date progressive. La scrittura prevedeva la sostituzione della precedente. Gasparetto pagò il capitale, circa 1 miliardo, ma non pagò gli interessi e nelle mani dei creditori rimasero due assegni che a pagamento vennero protestati. L’operazione aveva una veste di regolarità, viste le due fatture emesse. Fatture che vennero sostituite tramite note di accredito. Nel marzo 2000 nei libri contabili della Bianchi comparve la restituzione della caparra quando in realtà Gasparetto doveva corrispondere ancora le somme concordate.
Secondo gli avvocati della difesa tutta l’operazione rivela che non esisteva il minimo intento di Bianchi e Porzio di praticare interessi usurai (mancherebbe quindi l’elemento psicologico). Anche sul fronte materiale non si tratterebbe di usura reale, prevista dal comma 3 dell’articolo 644 del codice penale, ma solo diusura pecuniaria prevista dal comma 1, quindi sarebbero comunque eccessive le richieste dell’accusa. Inoltre si configurerebbe piuttosto una truffa di Gasparetto nei confronti di Bianchi e Porzio. Chi sarebbe la vittima dell’usura si sono chiesti gli avvocati della difesa? Di certo non Sandro Gasparetto che dall’operazione ha tratto solo benefici. Per queste ragioni gli avvocati hanno chiesto il proscioglimento degli imputati.