Continua il dibattimento nel processo per usura a Taggia. Dichiarazioni spontanee anche per Bianchi
Bianchi ha reso una dichiarazione spontanea, escludendo che l’operazione compiuta insieme a Gasparetto potesse configurare una qualche forma di usura. L’accusa non ci sta.
Al processo di questa mattina è intervenuto anche l’imprenditore imputato Bianchi, che ha reso una dichiarazione spontanea, escludendo che l’operazione compiuta insieme a Gasparetto potesse configurare una qualche forma di usura.
Subito dopo è intervenuta la pubblica accusa. “Gasparetto nel 1999 era in difficoltà e necessitava di liquidi, ma non poteva chiedere prestiti alle banche essendo già molto esposto. Parrini indirizzò Gasparetto a Ghilardi, Bianchi e Porzio. Bianchi gli imprestò un miliardo. Gasparetto emise due assegni in garanzia e firmò una ricevuta. Per restituire quei soldi aveva due opzioni: da un lato la vendita di quattro lotti di terreno dal valore di un miliardo (che secondo i periti valevano di più e che a causa di un iter amministrativo in atto avrebbero aumentato ancora il loro valore) o costruire due ville (dal prezzo di un miliardo e mezzo l’una), da vendere per poi saldare il debito, o in caso di mancata vendita da consegnare a Bianchi, in questo caso con la restituzione da parte di Bianchi a Gasparetto della differenza (due miliardi)".
"Gasparetto – dice l’accusa – aveva un anno e mezzo di tempo per restituire quella somma. Ma in quel periodo stipulò un migliore affare con una società riconducibile all’imprenditore Peruzzi, per vendere la metà di quei lotti al prezzo di due miliardi. Il 5 gennaio del 2000, quindi, firmo una nuova scrittura privata con Bianchi, avendo una situazione economica più florida e volendosi liberare da quell’impegno per lui troppo gravoso. La nuova scrittura tuttavia prevedeva che Gasparetto consegnasse un miliardo e 700 milioni a suoi creditori per chiudere definitivamente la partita. Cifra che a fronte del miliardo ricevuto evidenzia un vantaggio usuraio".
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