10 anni di ROCK IN THE CASBAH: Simone Parisi – Radiomandrake

28 luglio 2009 | 20:37
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10 anni di ROCK IN THE CASBAH: Simone Parisi – Radiomandrake

Io rimanevo attaccato a quell’albero che oggi non c’è più e sorridevo un poco… la Scarpèta (o la Pigna, se preferite) ha bisogno di sorrisi che ricambia sempre col cuore, che solo i muri segnati dal tempo possono.

Io ero attaccato ad un albero che oggi non c’è più. Le luci erano semplici, ma tanto i muri vecchi parlano già da sè, non c’è bisogno di farli diventare diversi da quelli che sono già. Avevo davanti un piccolo sciame di vita che calpestava le piastrelle più vecchie di tutta Sanremo. Avevo intorno molti sorrisi, avevo davanti parecchia gente. Avevo bisogno di ricordare bene qualcosa, perchè la sensazione era quella di poterlo tirare fuori a 10 anni di distanza. Un dj sottolineava le imprese di una band, il bassista ruppe la bretella del suo basso, ed il cantante raccontava un sacco di cose tra un pezzo ed un altro. Stavo assistendo ad uno show.
La gente si muoveva spesso, saliva e scendeva le scale, attraversava le volte e sostava in almeno 5 piazze, in 5 zone da dove era possibile scorgere e godere di un palco assurdo, un avanscena nullo dietro al quale c’era una specie di terrazzo rettangolare e poi un muro dritto di una casa. Ai lati l’aria era tagliata da due muri obliqui che nessun architetto avrebbe mai progettato se non quello sommo ed inappellabile della Natura, del fato, della storia. Davanti a quello spazio ce n’era poco altro in piano e parecchi gradini larghi e comodi come quelli dei "Distinti" dello stadio Comunale. Ed una serie infinita di angoli aperti, volte, terrazze, palme, scritte, piastrelle rotte, altri gradini. Forse era quello l’inizio della famosa "Creuza de ma" visto che il vociare dei gabbiani era una costante che sembrava galleggiare al di sopra della musica e giusto pochi metri oltre la costa.
Le note non erano diverse da altrove, perchè era già diverso tutto. Non c’erano spazi grandi, ma tanti piccoli da attraversare, e la gente si sentiva più libera.
Io rimanevo attaccato a quell’albero che oggi non c’è più e sorridevo un poco… la Scarpèta (o la Pigna, se preferite) ha bisogno di sorrisi che ricambia sempre col cuore, che solo i muri segnati dal tempo possono. E questa, della vecchia San Remo, è zona antica, alta, nobile. Terremotata nei primi anni dell’ottocento, bombardata durante la Seconda Guerra, una volta quassù vivevano i ricchi, ora ci sono giardini nati sopra a quelle macerie ed alberi come quello dove ero attaccato io ma che oggi non c’è più.
Da queste parti non sembra che il sole del buon Dio abbia così tanto da fare in altri paraggi, da queste parti si gode il mattino più caldo e le sere più fresche, perennemente immersi in immagini da cartolina.
C’è sempre un momento nel quale si ha la sensazione precisa che quell’attimo rappresenta una nascita, che andrà ripetuto, che non ne si potrà fare a meno. Io ho vissuto quel secondo attaccato ad un albero che oggi non c’è più. Avevo di fronte la Ratamacue che suonava davanti ad una scritta : Rock in the Casbah, proprio come fosse la canzone dei Clash e proprio come se quel dedalo di stradine ed anfratti fosse Casbah a tutti gli effetti, tra saluti in arabo, panni stesi, pelle nera e la sensazione di calpestare una piastrella di tempo.
Solo ciò che nasce spontaneamente può rimanere splendente e magico nell’arco del tempo: ho sempre provato le stesse emozioni quassù. Ho pogato quando Freak Antoni cantava "Carabigniere-bigniere-bigniere Blues", ho cantato ogni nota con Frankie Hi-Nrg Mc, mi sono mascherato per presentare Toffolo e gli altri due Allegri Ragazzi Morti, ho fomentato Tonino Carotone per il suo fuori programma, c’ero coi Filodiretto che abitano quassù,e c’ero a stringere la mano a Davide, Lorenzo e Stefano altrimenti detti Datakill, a scoprire la sensualità di Eleonora ed i suoi Malamonroe, a giocare con i Radioclash per inventare una sigla suonata dal vivo, a sentire i Primula Nera, a ballare coi Duken, a ridere con la Grockbanda, c’ero sempre… ora il dj sono io, ora la voce che scandisce i tempi è la mia con l’ansia di Larry che ripete ogni volta ogni passaggio … c’ero a tenere le transenne coi Meganoidi e coi Linea 77 e c’ero anche a passare i pomeriggi insieme a Napo che urlava a Cioffi d’essere un "po’ più bulgaro" nel suo percuotere i tamburi, e nessuno ha mai capito quanto più bulgaro, e che cosa vuol dire esserlo.
L’unica cosa che non c’è più è quell’albero al quale ero appeso in quell’estate del 2000, tutto il resto rimane rinchiuso nella magia che ogni anno si materializza e diventa "ROCK IN THE CASBAH"

Simone Parisi – Radiomandrake