Freddy Colt, il Sultano dello Swing

3 maggio 2009 | 09:02
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Freddy Colt, il Sultano dello Swing

Nel 1991 fondai il Centro Studi Musicali che intitolammo a Kenton, padre del “Progressive Jazz” Il Sultanato è un tentativo di coordinamento e di promozione per divulgare un genere che in Italia è sempre stato minoritario.

Una chiacchierata con Freddy Colt, agitatore della scena musicale sanremese e non solo, organizzatore di manifestazioni, curatore della rivista il Mellophonium, padrino di eventi unici in Italia come Zazzarazzaz  (dedicato alla canzone jazzata) e il Premio Barzizza (dedicato agli arragiatori), leader della Red Cat Jazz Band, ora impegnato nella promozione del Sultanato dello Swing.

Cos’é il Sultanato dello Swing?

Il “Sultanato dello Swing” è l’ultimo mio progetto. In un certo senso il Sultanato è il coronamento di un percorso artistico che perseguo da quasi vent’anni, da quando cioè presi ad interessarmi dello Swing Italiano.

Come sei arrivato a questa sonorità un po’ fuori dai percorsi tipici dei "giovani" d’oggi?

Fin da ragazzo, diciamo dai 17 anni, insieme ad un caro amico cominciai ad appassionarmi alla musica jazz, e in particolare alle “big bands” della cosiddetta “Swing Era”: le orchestre di Duke Ellington, Count Basie, Fletcher Henderson, Benny Goodman, Glenn Miller, Woody Herman e, buon ultimo, Stan Kenton.

Stan Kenton è anche il nome che hai scelto per la tua associazione culturale.
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Nel 1991 fondai a Sanremo il Centro Studi Musicali che intitolammo proprio a Kenton, padre del “Progressive Jazz” e di una concezione colto-sperimentale del jazz orchestrale. Più avanti, nel 1999, realizzai con gli amici dello “Stan Kenton” persino una rivista intitolata “The Mellophonium”, che prospera tuttora e che rappresenta la voce del nostro Centro Studi.

E’ curiosa la tua passione per la musica dei primi anni del ‘900, perchè una scelta così singolare?

Sempre intorno ai 20 anni presi ad interessarmi della vecchia canzone “sincopata” italiana, a quelle canzonette degli anni ’30 e ’40 che cercavano di mutuare il linguaggio del jazz per “svecchiare” la ultramelodica canzone italiana del periodo. Merito di autori come Giovanni D’Anzi e Gorni Kramer, di arrangiatori come Pippo Barzizza, di cantanti come Natalino Otto, Ernesto Bonino e del mitico Trio Lescano… Dalla ricerca di vecchie incisioni, allo studio degli stili, al recupero dei brani per poi riarrangiarli e proporli in concerto con la mia band, il passo fu relativamente breve. Tra gli anni 1994 e 1998 ho portato in scena tre diversi spettacoli musico-teatrali interamente basati su questo repertorio. Erano sorta di musical con la mia orchestra, la Red Cat Jazz Band, come protagonista, e l’intervento di un attore caratterista.

Mentre
gli altri ascoltavano grunge, hardcore, nu-metal, tu recuperavi la canzone jazzata e inventavi Zazzarazzaz…

C’è da dire che negli anni ’90 l’interesse verso lo Swing non era molto diffuso e ciò che io proponevo veniva visto come qualcosa di eccentrico e bizzarro. Ma decisi di andare avanti: nel biennio 1995-1996 portai la mia musica e la mia band a Unomattina per una serie di puntate, cosa che ci diede una certa visibilità. Poi nel 1997 riuscii ad organizzare a Sanremo la prima rassegna della Canzone “Jazzata” invitando artisti di fama ed emergenti che coltivavano una stessa estetica musicale: lo swing, l’ironia, il gusto per il “retrò”, l’importanza degli arrangiamenti con un suono jazzy. La prima edizione di “Zazzarazzaz” (rassegna che dura tuttora) fu tenuta a battesimo dal cantautore Sergio Caputo, geniale interprete dello Swing d’autore negli anni a noi più vicini. Successivamente sono passati nella mia rassegna personaggi come Vinicio Capossela, Nada, Rossana Casale, Giorgio Conte, Romano Mussolini, Paolo Belli, Nicola Arigliano, Joe Sentieri e molti altri.

Ma poi in Italia qualcosa è cambiato, vero?

Si, tutto questo percorso per accorgermi che, nel frattempo, si era creato a livello nazionale un fecondo humus legato allo swing e anche una rete di contatti, di amicizie che avrebbero potuto essere meglio coordinare. Così lo scorso anno abbiamo battezzato questo sodalizio elettivo “Sultanato dello Swing”. D’altra parte molti cultori del genere già mi soprannominavano scherzosamente “Sultano dello Swing” forse per via del look – la mia orchestra era apparsa nel 2001 in tutte le puntate di “Zelig” indossando il fez, tipico copricapo turco…

Ma il Sultanato è un gioco o una cosa seria?

Sono bastati un paio di decreti e un minimo di public relations per far sapere ch’era nato lo stato ideale per tutti noi: il Sultanato!
Nel giro di poche settimane ho rilasciato passaporti diplomatici e celebrato parecchie investiture. Non immagino che avrebbero aderito anche personaggi di primo piano del mondo musicale italiano. Ad esempio il Gran Visir dello Swing è stato acclamato nella persona di Stefano Bollani, pianista jazz di respiro mondiale, che da sempre coltiva particolare interesse verso il repertorio italiano d’antan. Giorgio Conte ha accettato la carica di Gran Cadì, il maestro Leo di Sanfelice, pianista comico di Rai3, è divenuto Gran Nababbo e lo scrittore Bruno Gambarotta Bey Protonotario. Nella gerarchia di corte non mancano i pascià, i cerimonieri e soprattutto i Giannizzeri, che sono i più attivi paladini di questo genere, assoldati in ogni parte d’Italia: da Bari a Milano, da Campobasso a Torino, da Roma a Bologna.

Quindi è una grande trovata pubblicitaria?

Il Sultanato non è solo una rete virtuale di amici un po’ pazzi, è soprattutto un tentativo di coordinamento e di promozione. Un’idea per divulgare un genere e incoraggiare gli artisti che lo propongono; parliamo peraltro di un genere che è sempre stato, in Italia, minoritario – sia alle origini, sotto il regime fascista, sia dopo. Ma il continuo rigenerarsi, grazie ad astri luminosi come Fred Buscaglione, Renato Carosone, Lelio Luttazzi, Jula De Palma e, in anni più recenti, Paolo Conte e Sergio Cammariere, ha permesso a questa musica di trascendere le epoche e giungere sempre fresca fino a noi.

E da un punto di vista strettamente musicale come si muove il Sultanato dello Swing?

Il mio impegno di Sultano è stato fin da subito quello di scendere in campo con una formazione costituita ad hoc, ossia un’orchestrina nazionale “Sultanato dello Swing” i cui quattro membri sono stati nominati Ministri di Stato. Con loro (il vocalist Claudio Bovo da Ivrea, il violinista Francesco Giorgi da Fucecchio, il contrabbassista Pedro Judkowski da Bologna, il batterista Federico Lagomarsino da Genova) propongo uno show intitolato “Il Batterista sull’Oceano” che è di fatto un tributo a Natalino Otto con la rivisitazione di alcune sue canzoni, celeberrime (su tutte, Ho un sassolino nella scarpa) o meno note (come Perdoni Signor Bach o Rirmo per favore). Abbiamo debuttato con successo a luglio 2008 al Versilia Jazz Festival di Forte dei Marmi e quest’inverno lo abbiamo testato in teatro con una prima al Politeama Boglione di Bra.