“Sincerità non è sinonimo di verità, non bisogna cadere nellequivoco della loro giustapposizione”

“Se la sincerità dipende dalla volontà dellindividuo (luomo sincero), la verità ha una dimensione che supera il singolo e si caratterizza come dato oggettivo, non determinato dallindividuo, per cui non si può parlare di diverse verità”
Ogni volta che mi capita di sentire qualcuno giustificare le proprie scelte per il semplice motivo della sincerità, magari tacciando altri di ipocrisia, mi convinco sempre più della opportunità di una precisazione. Infatti sincerità non è sinonimo di verità. Ritengo pertanto necessario giungere alla puntualizzazione dei due termini per non continuare a cadere nell’equivoco della loro giustapposizione. La sincerità è una dote apprezzabile e rende un ottimo servizio alla verità, ma non è garanzia assoluta di verità. Difatti si può essere sinceri e, nel contempo, non veri. E mi spiego. Ad esempio, avendo ricevuto una informazione errata, pur essendo un “campione” di sincerità, la notizia che sono in grado di comunicare non è affatto vera. Credo sia evidente a tutti che, almeno in questo e in casi simili, la sincerità è tutt’altro che la verità, anche se è salva la mia buona fede. E’ chiaro allora che se la sincerità dipende dalla volontà dell’individuo (l’uomo sincero), la verità ha una dimensione che supera il singolo e si caratterizza come dato oggettivo, non determinato dall’individuo, per cui non si può parlare di diverse verità, alla stregua delle opinioni che possono essere tante quanto le persone, come recita l’antico detto latino “Tot capita, tot sententiae”. Così pure è causa di confusione l’uso improprio di innocente al posto di buono. Ad esempio l’innocenza dei piccoli non significa di per sé bontà. Si deve pure ammettere che le azioni spontanee di un bambino, senz’altro innocente, non sono sempre buone e, come tali, da accogliersi senza interventi educativi, contravvenendo anche alla massima, che invita a raddrizzare la pianta da piccola. Da queste considerazioni deriva logicamente il dovere di educare l’intelletto e la ragione umana alla ricerca della verità (il beato Rosmini la definisce “carità intellettuale”) e di bandire ogni forma di permissivismo, naturalmente rispettando la necessaria gradualità nei confronti dell’educando da un lato e, dall’altro, la coerenza nei confronti della legge naturale e per un credente anche di quella rivelata. Ogni omissione od ogni intervento, riduttivo o esagerato che sia, non può che provocare danni per l’individuo e per la società. E oggi, purtroppo, la cronaca lo dimostra inconfutabilmente.