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Un lettore sull’assoluzione dopo la morte sul lavoro di Francesco Redigolo

14 dicembre 2008 | 07:53
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Un lettore sull’assoluzione dopo la morte sul lavoro di Francesco Redigolo

“Mi sorge il dubbio che quell’operaio non “sussisteva” e, perciò, non poteva morire. Non capisco come mai si sia istruito un processo per la sua morte, che ovviamente, non sussiste!”

Tutti assolti per la morte di Giancarlo Redigolo. Ci sono voluti 4 anni
per scrivere una pagina di ordinaria ingiustizia. L'operaio Giancarlo Redigoli era
stato mandato su un soppalco non calpestabile e privo di parapetto, dunque non a
norma. Anche la scala che gli hanno dato per salire, non era a norma. Niente era a
norma e, per questo motivo, il giudice decreta che il fatto non sussiste. Si tratta
certamente di un giudice professionalmente qualificato, ma come è possibile che chi
ha mandato un operaio a svolgere un lavoro, senza aver prima eliminato i rischi per
la sicurezza, come prescrive la legge, non sia colpevole. Il fatto non sussiste,
forse che l'operaio si è suicidato? Il datore di lavoro, come prescrive la legge, ha
il dovere di valutare tutti i rischi per la salute e la sicurezza di tutti i
lavoratori della propria azienda. Deve valutare tutti i rischi di impianti e
attrezzature non a norma, ma anche di quelli a norma. Se i rischi non sono stati
valutati e non state adottate le conseguenti misure di sicurezza, quando un
lavoratore subisce un infortunio e poi, magari, muore, come in questo caso, il
datore di lavoro, e con lui tutti coloro che sono stati direttamente coinvolti,
anche per semplice negligenza, è colpevole: così prescrive la legge! Il giudice, che
ovviamente, è persona altamente qualificata, ha decretato che il fatto non sussiste
e nessuno è colpevole di aver mandato a morte un operaio. Mi sorge il dubbio che
quell'operaio non "sussisteva" e, perciò, non poteva morire. Non capisco come mai si
sia istruito un processo per la sua morte, che ovviamente, non sussiste!

Francesco Mongioì Esperto della Sicurezza sul Lavoro