Il testo dell’Omelia del Vescovo Careggio in occasione della Festa di San Giovanni Bosco

1 febbraio 2008 | 07:56
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Il testo dell’Omelia del Vescovo Careggio in occasione della Festa di San Giovanni Bosco

“Il grande San Giovanni Bosco ci ha insegnato ad avere fiducia non solo nei ragazzi, ma anche e soprattutto in Dio e nella Vergine Maria Ausiliatrice. Sotto la loro protezione poniamo questo Centro salesiano” ha detto Mons. Careggio

FESTA DI SAN GIOVANNI BOSCO
Vallecrosia, 31 gennaio 2008

Educare, opera di amore

«Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri» (Fil 4, 8). Leggiamo queste parole in una lettera che Paolo scrive a Filemone che aveva un servo di nome Onesimo. Questi, schiavo di cattiva reputazione, era fuggito dalla casa del suo padrone ma, avendo incontrato Paolo, fu da lui convertito. Egli avrebbe potuto e voluto tenerlo presso di sé, ma preferì rimandarlo a Filemone, invitandolo ad accogliere lo schiavo come un fratello molto caro. È la prima petizione contro la schiavitù.
Dobbiamo domandarci perché sia stato scelto proprio questo brano per celebrare la festa di San Giovanni Bosco. La risposta dovrebbe essere più che evidente: oggi la schiavitù in molti Paesi del mondo non è affatto scomparsa: lo sfruttamento dei più poveri perdura ed assume, a seconda dei paesi, le forme più diverse. Non è di questo, tuttavia, che vorrei parlare, quanto di ogni forma di schiavitù spirituale, intellettuale e morale che sta mietendo vittime a larghe mani, in mezzo all’indifferenza di molti. La fascia più esposta a questa forma di “schiavitù” è quella dei nostri bambini, adolescenti e giovani, sempre più vittime di una cultura, priva di valori, diseducante e devastante per i modelli di vita che propone.
Ci troviamo tutti di fronte ad una vera e propria “emergenza educativa”. Vediamo la grande fatica che fanno molti buoni genitori e altrettanti professori nel trasmettere le ragioni del vivere. Tra i giovani è sempre più diffuso – ed è sotto gli occhi di tutti – il disinteresse e la passività. Parcheggiati in vari ambiti, pare che vivano in un misterioso torpore o, se si muovono, sono nella maggioranza dei casi manipolati da elementi sovversivi e politicizzati, com’è avvenuto di recente a Roma all’Università “La Sapienza”. In tal senso, alcuni mesi fa, su di un noto quotidiano italiano, si poteva leggere un articolo dal titolo drammatico: “La generazione del nulla” (U. GALIMBERTI, «La generazione del nulla» in Repubblica, 5 ottobre 2007, p. 47).
Sappiamo che questo prodotto culturale ha radici non lontane ed oggi, anche noi cattolici raccogliamo quello che impunemente abbiamo permesso o, addirittura, seminato. Dov’eravamo nel momento in cui il rilassamento dei costumi intorpidiva le coscienze? Dov’eravamo quando una certa propaganda esaltava idee, personaggi e comportamenti trasgressivi? Come abbiamo risposto alle provocazioni che uscivano proprio dal nostro associazionismo, da una certa élite giovanile cattolica del tempo, quando si correva dietro a cartelloni con scritte come queste: “Vescovo dimettiti”, “Vescovo tu condanni i tuoi figli”? La guerra condotta contro le radici cristiane non ha prodotto che tempesta!
Ma non è questo né il momento, né il luogo per fare il doveroso processo al Sessantotto che ha portato la nostra società allo sfacelo morale e culturale; sarebbe quanto mai inopportuno. Mi domando, comunque, se noi, come Chiesa, come sacerdoti, come adulti, come genitori, siamo o no disponibili a fare i conti con il reale, guardando in faccia questa situazione, allo scacco di certe ideologie, oppure se ci siamo abbandonati alla resa, lasciando cadere la sfida, ripetendo gli stessi errori del passato. Allora, nel Sessantotto, ciò che non ha funzionato è stata proprio l’ideologia. Oggi, in ogni caso, non è del tutto tramontato il rischio d’innamorarsi delle idee considerate più generosamente “umanitarie”, volte comunque per una salvezza tutta terrena e secolare, senza riferimenti alla trascendenza, a Dio. Le bancarelle del vizio sono, pertanto, piene di merce marcia, di tutto ciò che ha il potere di intorpidire le menti e le coscienze. Ma è proprio questo che vogliamo dare ai nostri giovani?
Dovremmo almeno domandarci, come Sant’Agostino: «Di che cosa dovrà essere avido l’uomo, per quale scopo dovrà custodire sano il palato interiore?». Il Santo ovviamente rispondeva: «Per mangiare e bere la sapienza, la giustizia, la verità, l’eternità» (S. AGOSTINO, In Io. Evang. Tr. 26, 5-6).
Oggi è la festa di San Giovanni Bosco. Potremmo parlare di lui sotto molti profili come quello del Santo, del sognatore, del giocoliere, del fondatore della Famiglia salesiana. Quello che di lui emerge in modo particolare è di essere stato capace di “capire”, nel senso di “comprendere” pienamente i giovani del suo tempo. Per loro è stato “Padre e Maestro”, perché li ha amati, tanto amati: ecco il segreto dell’arte pedagogica del nostro Santo! Se poi pensiamo che amare significa credere e sperare sempre, le deduzioni sono facili e doverose. «Ricordatevi che l’educazione è cosa del cuore», ricordava San Giovanni Bosco ai suoi Salesiani.
È importante conoscere come sia nato l’oratorio. È l’otto dicembre 1841 e il nostro Santo si sta preparando a celebrare la Messa nella chiesa di San Francesco d’Assisi, quando all’improvviso entra un ragazzo in sacrestia: è Bartolomeo Garelli. Il sacrestano lo vede e cerca di allontanarlo a bastonate, ma Don Bosco lo difende: “Questo ragazzo è mio amico!», dice. Bartolomeo e Don Bosco pregano insieme un’Ave Maria. Dopo questo incontro, domenica dopo domenica, all’oratorio arrivano tantissimi ragazzi. Sono i giovani più poveri di Torino. Con loro il Santo chiacchiera, insegna a leggere e scrivere, fa catechismo e li educa al senso dovere.
È davvero un grande questo Santo! Grande, perché ha creduto tanto nella certezza che Dio c’è e opera, quanto nella capacità di bene che ogni ragazzo porta in se stesso, anche il più depravato. Li avvicinò tutti, perché credeva fermamente, come amava ripetere, che «anche nel giovane più povero, più vivace, più allo sbando c’è un punto più accessibile al bene».
Carissimi, a questo “punto più accessibile” si arriva soltanto con la forza di un amore forte e coraggioso. I bambini che nascono oggi, non sono diversi da quelli che sono nati ieri. È verissimo dire che esiste la “frattura fra le generazioni”, ma non ci siamo mai domandati se questa è più l’effetto che la causa della mancata trasmissione di certezze e di valori, in ultima analisi una mancanza di amore e di speranza?
Oggi i nostri adolescenti non sono più amati come dovrebbero. Non lo sono sia quando si concede loro tutto, (il che avviene in modo particolare quando i genitori sono divisi), sia quando nei genitori o negli educatori (professori) manca quell’autorevolezza che deriva dalla coerenza della vita. È proprio questa a rendere credibile tanto l’esercizio dell’autorità, quanto la stessa educazione alla vita cristiana e alla fede.
È pur vero che a mano a mano che il bambino cresce aumenta il rischio della libertà; questa è una sfida che dobbiamo tutti accettare, ma sarebbe un grave errore, una volta fattosi adolescente e giovane, non aiutarlo a correggere idee e scelte sbagliate. Altrettanto grave se lo si assecondasse negli errori, fingendo di non vederli, o peggio condividendoli, come se la trasgressione fosse la nuova frontiera del progresso umano.
Oggi è sempre più in aumento la domanda di una educazione che sia davvero tale. Lo chiedono tutti: i genitori, molti insegnanti, la stessa società nel suo complesso. I giovani, a loro volta, non vogliono e, pertanto, non debbono essere lasciati soli di fronte alle sfide della vita, nonostante la fatica richiesta per educare.
In una recente lettera ai genitori, il Papa Benedetto XVI ricorda che non dobbiamo lasciarci prendere dalla sfiducia, come gli antichi pagani, uomini “senza speranza e senza Dio in questo mondo”. Il Santo Padre intravede, infatti, alla radice della crisi dell’educazione, una crisi di fiducia nella vita. Occorre dunque ricordare che solo Dio è la “speranza che resiste a tutte le delusioni” (cfr. BENEDETTO XVI, Lettera del Papa sul compito urgente dell’educazione, 21 gennaio 2008).
Il grande San Giovanni Bosco ci ha insegnato ad avere fiducia non solo nei ragazzi, ma anche e soprattutto in Dio e nella Vergine Maria Ausiliatrice. Su questa fiducia vogliamo anche noi fare leva. Sotto la loro protezione poniamo questo Centro salesiano e la rinnovata attività dell’Oratorio. Sono certo che porterà nuovo slancio ad un impegno educativo di forte richiamo per tutti i ragazzi della zona. Preghiamo perché il progetto educativo di collaborazione tra tutte le forze in campo, Gruppi, Associazioni e Parrocchie, possa realizzarsi per il meglio e quanto prima. Oggi, come Vescovo di questa Diocesi, nella festa di San Giovanni Bosco, lo affido con fiducia al Santo dei Giovani e alla Vergine Maria, Aiuto dei cristiani e con questo affido anche voi, giovani, educatori, salesiani, cooperatori e fedeli tutti. Come diceva San Giovanni Bosco: «Mettiamo la nostra confidenza in Dio e andiamo avanti senza timore».