Nel teatro dell’Opera domani alle ore 16.30 la conferenza “La Cina tra Tibet e Olimpiadi”.

28 gennaio 2008 | 10:49
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Nel teatro dell’Opera domani alle ore 16.30  la conferenza “La Cina tra Tibet e Olimpiadi”.

Partecipano Enzo Bettiza, Boris Biancheri e Renata Pisu introdotti da Ito Ruscigni.

Domani nell’ambito della rassegna “Sanremoinfiore”  in collaborazione con l’Assessorato al Turismo del Comune di Sanremo nel teatro dell’Opera del Casinò alle ore 16.30 si terrà la conferenza “la Cina tra Tibet e Olimpiadi”. Partecipano Enzo Bettiza, Boris Biancheri e Renata Pisu. Introduce l’autore Ito Ruscigni.
E’ questo un tema di grande attualità, di cui si è occupato con due distinti convegni l’Unione Europea nel 2007. Il Tibet, infatti, vuole ottenere visibilità internazionale per ottenere maggiore indipendenza. La questione tibetana  risale agli anni della Rivoluzione Cinese.
Fino al 1950 il Tibet era uno stato autonomo governato dal Dalai Lama, la massima figura religiosa del buddismo tibetano. In quell’anno l’esercito cinese guidata da Mao Zedong invase il Tibet, riducendolo di fatto in schiavitù. Il Dalai Lama si rifugiò in India, molti monasteri furono devastati e i tibetani dovettero sopportare repressioni sanguinarie e l’annullamento dei più basilari diritti umani. Ancora oggi la Regione Autonoma del Tibet è una provincia cinese che di fatto non ha nessuna autonomia ed in cui i veri tibetani sono discriminati rispetto ai cinesi di cui il governo centrale ha favorito il flusso per “nazionalizzare” il territorio.
Queste le premesse storiche a quanto accaduto in vista delle Olimpiadi di Pechino.

Non sparate sulla Cina. Di Enzo Bettiza

Da oggi inizia il conto alla rovescia dei 365 giorni. Porteranno la Cina non solo alle Olimpiadi dell’8 agosto 2008 ma addirittura, così scrivono pessimisti e supponenti tanti giornali, a una specie di sorda guerriglia civile con i ventimila giornalisti che per la grande occasione saranno presenti a Pechino. Più delle competizioni sportive, saranno in gioco, allora, i capisaldi della democrazia globalizzata: la libertà di informazione, la tutela dei diritti civili, l’abolizione della pena di morte, la scarcerazione di un’ottantina di dissidenti colpevoli di aver scritto di soprusi e perfino di calamità naturali.
Ritengo che qualunque persona di sane e buone opinioni liberali, magari gli stessi organizzatori indigeni dello storico evento, non possa sottrarsi all’idea che la bonifica democratica di un continente debba coinvolgere, assieme al mercato e al prodotto lordo, anche la vita quotidiana di molte centinaia di milioni di cittadini cinesi. Ma, per l’appunto, quando parliamo della Cina, non dovremmo mai dimenticare che non stiamo parlando dell’Olanda o della Svizzera; dovremmo sempre ricordarci che la Cina è un continente asiatico di oltre un miliardo di persone, presto un miliardo e mezzo.
Queste persone stanno emergendo a una nuova vita, spesso caotica e imperfetta, dagli abissi del peggiore inferno totalitario che il mondo novecentesco abbia mai conosciuto.
Quindi un minimo di relativismo non dico filosofico o culturale, ma almeno storico o semplicemente cronologico andrebbe preso in debita considerazione ogni volta che ci si abbandona a criticare l’esplosiva Cina di oggi dimenticando la Cina da incubo dell’altroieri. I quattro simpatici colleghi senza frontiere che in altri tempi, chissà, avrebbero magari inneggiato alla democrazia totale della rivoluzione maoista, hanno in fondo ottenuto quello che con la loro eccessiva provocazione volevano ottenere. Esibendosi in maglietta nera, con il disegno sul petto di cinque manette al posto dei cinque cerchi olimpici, hanno richiamato su di sé l’attenzione della platea mondiale, del Comitato internazionale dei Giochi e ovviamente, come desideravano, della polizia locale.
Sono andati così a rafforzare la frontiera dei khomeinisti dei diritti civili che, spesso, a cominciare da certi censori schematici di Amnesty International o di Greenpeace, danno l’impressione di badare più all’incasso pubblicitario che alla liberazione di dissidenti o alla pulizia dell’ambiente.
Da qualche tempo è di moda descrivere a tinte fosche la Cina che, sia pure disordinatamente, sta salendo al rango di grande potenza globale. La si racconta come una sentina di industrie sporche e fumiganti, spacciatrici di merci avariate e dentifrici tossici, irrispettosa della vita umana, produttrice di miseria e perfino di schiavitù nella tenebra delle campagne remote. Insomma: il capitalismo selvaggio degli impianti olimpici da una parte, le iniquità del vecchio comunismo dall’altra. Ho letto addirittura che la Cina resta tuttora «dov’era trenta, quaranta, cinquant’anni fa».
A questo punto sarà bene ricordare gli osanna che quarant’anni orsono, ai tempi del libretto rosso e del maoismo ruggente, si levavano dagli stessi ambienti progressisti che oggi denigrano la Cina solo perché non è più la Cina povera e terrorizzata delle «formiche blu» di allora. La Cina dei grandi balzi nella morte, quella che imitava in termini esponenziali asiatici le collettivizzazioni sovietiche, che falcidiava nelle carestie programmate decine di milioni di contadini espropriati, che incitava le guardie rosse imberbi a calpestare Confucio e trascinare nel fango i maestri anziani, non mi pare avesse mai suscitato in Europa lo stesso furor critico che invece attualmente suscitano Pechino e Shanghai inquinate dal capitalismo e dallo smog. I due pesi e le due misure appaiono, nel confronto, davvero stravolti.
La Cina che non offre più il modello di un’utopia alternativa, che va avanti e cresce per conto suo, che si democratizza a rilento senza badare troppo alle differenze tra capitalismo e comunismo, ha finito con l’attirare su di sé una sorta di astio ideologico vendicativo. Io ricordo lo squallore uniforme, da 1984 orwelliano, di Shanghai tutta vestita di blu, o la Macao Anni Settanta cui affluivano per i corsi d’acqua dal continente mucchi di cadaveri incatenati. Ritengo perciò che l’ondivaga emancipazione cinese, pur meritando qualche giusta e anche severa critica democratica, non meriti tuttavia l’affronto di provocazioni esibizionistiche che sembrano ignorare il rapporto tra l’inferno di ieri e il purgatorio di oggi.”

Enzo Bettiza Ha dedicato gran parte della sua attività di scrittore e di studioso alle questioni del comunismo e dei paesi dell'Est. Dal 1957 al 1964 è stato corrispondente prima da Vienna e poi da Mosca per la Stampa, alla quale ha collaborato come commentatore politico e culturale di grande rilievo. Per dieci anni è stato inviato del Corriere della Sera. Nel 1974, insieme con Indro Montanelli, fonda Il Giornale di cui sarà condirettore vicario fino al 1983. Senatore ed europarlamentare dal 1976, ha svolto nel corso delle varie legislature funzioni di presidente delle delegazioni parlamentari europee per i rapporti con la Iugoslavia, con la Cina e con l'Unione Sovietica.
In un suo editoriale l’ambasciatore Boris Biancheri Ha scritto :” Il costante processo di ascesa della Cina al rango di attore mondiale di primo piano è al centro dell’attenzione delle principali cancellerie, impegnate a soppesarne le capacità effettive e potenziali, e si colloca da tempo in una posizione di vertice tra le variabili a cui guardano coloro che sono interessati a cogliere le principali dinamiche dello scenario internazionale di quest’inizio secolo.
… La Cina nel volgere di due decenni è passata dalla condizione di paese semiindistrializzato a quella di paese altamente industrializzato, dotato di un mercato interno ampio; da paese ad economia socialista pressoché chiusa a paese pienamente integrato nei circuiti commerciali globali e ai primi posti mondiali in termini di investimenti esteri diretti.
La Cina non è solo questo . E’ un insieme di complessità e di contraddizioni, dalla cui soluzione dipenden la realizzazione degli enormi progetti di sviluppo ribaditi dalla leadership cinese nell’XI piano quinquennale già avviato…
Riuscirà a superare indenne l’ostacolo rappresentato dalle pressioni endogene ed esogene che spingono verso l’adozione di riforme in campo economico come inc ampoi sociale e politico?
Boris Biancheri Chiappori è nato il 3 novembre 1930. Coniugato con Flavia Arzeni , ha due figli. Fa parte di una famiglia di funzionari pubblici e uomini politici. Il padre Augusto, diplomatico, alla nascita del figlio Boris era Ministro Plenipotenziario e Direttore Generale delle Organizzazioni Internazionali del Ministero degli Affari Esteri.
Ha compiuto quasi tutti i suoi studi a Roma, laureandosi in Giurisprudenza nel 1953. In carriera diplomatica dal 1956, ha prestato servizio al Gabinetto del Ministro degli Esteri Gaetano Martino, poi all'Ambasciata d'Italia ad Atene, al Consolato di Tolone e, brevemente, in Giappone.
Nel 1972 è Consigliere all'Ambasciata a Londra. Nel 1975 è Capo dell'Ufficio di Coordinamento delle Segreteria Generale del Ministero degli Affari Esteri. Nel 1978 è Capo di Gabinetto del Ministro degli Esteri. Nel 1979 è nominato Ambasciatore d'Italia a Tokyo. Nel 1984 assume l'incarico di Direttore Generale del Personale del Ministero degli Affari Esteri.
Nel 1985 è nominato Direttore Generale degli Affari Politici. In tale carica è negoziatore italiano del Trattato sulla Cooperazione Politica Europea che, inglobato nell'Atto Unico Europeo del 1986, costituisce tuttora il fondamento della collaborazione tra i Paesi della Comunità in materia politica, su cui poggia il Trattato di Maastricht. Dalla fine del 1987 è Ambasciatore a Londra. Nel 1991 è nominato Ambasciatore a Washington. Dal novembre 1995 è nominato Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri. Dal settembre 1997 è nominato Presidente dell'ANSA.
Dal novembre 1997 è nominato Presidente dell'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI). E' editorialista del quotidiano "La Stampa" e collabora a vari periodici nazionali e internazionali. Negli Stati Uniti ha ricevuto una laurea "ad honorem" in Lettere dal "Mercy College" ed una in Legge dall'Università di St. John's.
Renata Pisu ha frequentato i corsi di lingua cinese e di storia della Cina moderna all’università di Pechino fino agli inizi della Rivoluzione Culturale. Da allora svolge la professione di giornalista con particolare attenzione ai problemi dell’Asia Orientale. È stata corrispondente de La Stampa a Tokyo dal 1984 al 1988. Dal 1990 è inviato speciale de La Repubblica su tutti i fronti delle guerre non dichiarate e delle catastrofi annunciate, dalla Bosnia al Ruanda, dal Kuwait alla Cambogia, dal Bangladesh all’Indonesia. Ha tradotto dal cinese numerose opere di narrativa contemporanea ed è autrice di saggi sulla società cinese pubblicati su varie riviste italiane e straniere.