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L’omelia di Mons. Alberto Maria Careggio per il Pontificale di Natale

26 dicembre 2007 | 09:51
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L’omelia di Mons. Alberto Maria Careggio per il Pontificale di Natale

Per entrare in comunione con Dio, dobbiamo anche noi entrare nello stesso movimento di ascolto e di amorevole obbedienza che il Figlio, Gesù, ha nei confronti del Padre suo e partecipare del suo banchetto eucaristico che è la Santa Messa.

Fattosi giorno, l'incanto della notte di Natale cede il posto alla riflessione e ad alcune domande. Perché, questa notte, ci siamo lasciati prendere dallo stupore e dalla suggestione di un racconto? Perché ci siamo lasciati attrarre dalla nascita di un bambino, venuto al mondo in una delle tante grotte che circondano la città di Betlemme? Perché ci ha colpiti il bagliore di una luce spirituale e ci siamo lasciati avvolgere dal canto misterioso dei Messaggeri divini che lodavano Dio e dicevano: «Lode a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama» (Lc 2,14)?
La risposta è tutta nel brano evangelico che abbiamo appena ascoltato. L'evangelista Giovanni, narrando la comunicazione della rivelazione di Dio all'umanità, non esprime un astratto concetto teologico, ma un evento vitale nell'ordine dell'Amore. La Rivelazione è comunicata proprio cosi: con un atto di amore.
In effetti, il Logos, il "Verbo", che era "presso Dio" (Gv 1,1), ossia tutto "rivolto verso Dio", in posizione quindi di ascolto e di colloquio intimo con il Padre (Gv 1,18), fattosi uomo nel Figlio Gesù Cristo, ha narrato Dio agli uomini, rivelando la sua verità profonda. Soltanto Gesù, infatti, può far conoscere il Padre e l'amore del Padre per tutti i suoi figli. Lo afferma l'Evangelista quando, alla fine del Prologo, scrive: «Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Gv 1, 18). Questo ha consentito ai credenti di indirizzare la propria vita verso la comunione con il Padre; ci ha aperto la via verso di Lui.
    Il Vangelo che Giovanni scrive è il frutto di questa comunicazione d'amore di Dio agli uomini attraverso il Figlio. Si riempie in tal modo di significato il gesto, tanto delicato quanto profondo, di Giovanni che poggia il suo capo sul seno di Gesù proprio nel momento dell'ultima Cena, quando lo stesso Gesù, «avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (Gv 13,1). È doveroso ricordare quest’ultima Cena proprio nel giorno in cui ricordiamo la nascita del Maestro. Quante volte Egli ha detto di essere il "Pane della vita e della vita eterna"!
    Per entrare, quindi, in comunione con Dio, dobbiamo anche noi entrare nello stesso movimento di ascolto e di amorevole obbedienza che il Figlio, Gesù, ha nei confronti del Padre suo e partecipare del suo banchetto eucaristico che è la Santa Messa.
Amare, accogliere, ascoltare sono pertanto i veri atteggiamenti che dobbiamo avere in un giorno come questo, giorno del Natale, giorno in cui si celebra nel mondo intero la nascita del nostro Salvatore. Se amo, accolgo; se accolgo, ascolto. Non c'è altro modo di celebrare e di vivere questa festa. Vorrei aggiungere che, per quanti tentativi faccia la cultura contemporanea del consumismo e della scristianizzazione per inquinare e togliere dalla nostra cultura il vero significato del Natale, non si riuscirà mai a rimuovere dalla coscienza il richiamo della nostra festa e, soprattutto, la necessità di un Salvatore. È insopprimibile dal cuore dell'uomo il bisogno di salvezza. Dio, infatti, non vuole l'uomo schiavo della disperazione del peccato, non l'ha creato per la morte, ma per la vita!
Che cosa dobbiamo, dunque, fare a Natale? Basta l'essere venuti a Messa? È sufficiente dire di voler essere migliori? Può questo giorno finire in un pranzo, in un incontro seppur bello di famiglia, in un film?… Anche queste sarebbero domande inquietanti, se noi non volessimo essere cristiani coerenti e se, pertanto, rifiutassimo il Dono che è Gesù, con tutta la sua luce interiore che ci porta. Questa è la realtà del Natale: il vero Natale cristiano. Tutte le espressioni di festa, di canti nataIizi, di calore umano attorno alla culla, i doni e gli auguri che ci scambiamo, hanno senso e valore se non soffocano in noi la verità che la Parola di Dio «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). Il Vangelo su cui abbiamo riflettuto è estremamente entusiasmante e positivo quando afferma che tutti coloro che amano Gesù, lo accolgono e lo ascoltano, sono, come Lui, Figli di Dio. Indistintamente tutti gli uomini, di ogni razza, religione o condizione sociale, sono invitati oggi a far festa. «Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo», diremo tra poco nella Professione di fede. È la ragione della gioia interiore di questo giorno, gaudio spirituale che a nessuno può essere tolto. Oggi è nato per noi il Salvatore.