Nuova Evangelizzazione (7a parte)

8 giugno 2005 | 22:00
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Nuova Evangelizzazione (7a parte)

     Se il nostro tempo assiste dunque alle caduta di tutte le “fedi”, di quelle più antiche e venerabili, come di quelle moderne più o meno sanguinarie, esso può davvero configurarsi come il “mezzogiorno” del nichilismo, secondo un’altra felce espressione di Nietzsche: “Il «mondo vero» – un’idea, che non serve più a niente, nemmeno più vincolante – un’idea divenuta inutile e superflua, quindi un’idea confutata: eliminiamola!
(Giorno chiaro: prima colazione; ritorno del bon sens e della serenità; Platone rosso di vergogna; baccano indiavolato di tutti gli spiriti liberi).
Abbiamo tolto di mezzo il mondo vero: quale mondo ci è rimasto? forse quello apparente?… Ma no! col mondo vero abbiamo eliminato anche quello apparente!
(Mezzogiorno; momento dell’ombra più corta; fine del lunghissimo errore; apogeo dell’umanità; incipit Zarathustra)” .
   Ma, si badi bene, questo concetto si è modificato in maniera significativa, come  già accennato, rispetto al modo “eroico” in cui Nietzsche lo interpretava e, più radicalmente, lo viveva. “Il nichilismo – scriveva – non è soltanto un insieme di considerazioni sul tema: «Tutto è vano»; non è solo la credenza che tutto merita di morire, ma consiste nel mettere la mano in pasta, nel distruggere… E’ lo stato degli spiriti forti e delle volontà forti cui non è possibile attenersi a un giudizio negativo: la negazione attiva risponde meglio alla loro natura” . Questo nichilismo per spiriti forti sembra finito pure esso nel nulla, lasciando il posto ad un nichilismo più scialbo e “spensierato”, capace di negare ma non di costruire , teso alla sopravvivenza del giorno dopo giorno, così facilmente individuabile, come si diceva all’inizio, nell’atteggiamento e nei modi di vivere di buona parte degli uomini del nostro tempo. Senza voler indulgere a toni drammatici o catastrofisti, e senza nemmeno voler giudicare il prossimo, può essere significativo mettere in luce almeno alcuni “atteggiamenti nichilistici” facilmente e maggiormente riscontrabili ai nostri giorni, con i quali la nuova evangelizzazione deve, per forza di cose, misurarsi.
  In primo luogo va colta ed evidenziata, a mio avviso, una sorta di “divinizzazione” del dubbio e della “sospensione del giudizio” che tende a rendere illegittima o impossibile qualsiasi stabile conoscenza e qualsiasi discorso sulla verità, per cui anche la pretesa della Chiesa di svolgere il proprio servizio di “diaconia alla verità”, come scrive, con un’espressione bellisssima, l’attuale Pontefice , è sentita come anacronistica e, spesso, come un sopruso, quasi come una violenza. Scrive a questo proposito Hannah Arendt: “Nella filosofia e nel pensiero moderni, il dubbio occupa la stessa posizione centrale che occupò per tutti i secoli prima il thaumazein dei greci, la meraviglia per tutto ciò che è in quanto è. Cartesio fu il primo a concettualizzare questo dubitare moderno, che dopo di lui divenne il motore evidente e dato per scontato che ha mosso tutto il pensiero, l’asse invisibile sul quale si è concentrato ogni pensare… La filosofia moderna è consistita nelle articolazioni e ramificazioni del dubbio” . Dunque, di contro all’apertura originaria alla realtà, e quindi alla verità, che caratterizzò grande parte del realismo classico, l’uomo moderno tende a concepire il dubbio e il rifiuto della ricerca del vero come presupposti insuperabili e come punti di partenza di ogni riflessione che voglia avere la pretesa di essere dotata di senso.
     Altre caratteristiche significative della mentalità moderna sono certamente quelle del rifiuto della tradizione e dell’oblio del passato, quasi come se l’uomo di oggi avesse preso alla lettera quel motto dell’Illuminismo che Kant, con tanta passione, ha evidenziato nelle sue opere: “Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! E’ questo il motto dell’Illuminismo… E’ così comodo essere minorenni! Se io ho un libro che pensa per me, se ho un direttore spirituale che ha coscienza per me, se ho un medico che decide per me, io non ho più bisogno di darmi pensiero di me. Non ho bisogno di pensare, purché possa solo pagare: altri si assumeranno per me questa noiosa occupazione”. E, subito dopo, Kant se la prende con tutti quei “tutori” che istupidiscono gli uomini come se fossero animali domestici ed impediscono loro anche di “muovere un passo fuori dalla carrozzina da bambini in cui li hanno imprigionati” . Con parole diverse, scrive oggi Eugenio Scalfari a proposito dei giovani: “La loro ferita è stata la perdita della memoria. La ferita è stata il silenzio dei padri troppo impegnati nella conquista del successo e del potere… La ferita è stata la noia, l’invincibile noia, la noia esistenziale che ha ucciso il tempo e la storia, le passioni e le speranze” . In fondo, per Kant, la liberazione dal potere dei “tutori” costituiva un gesto di coraggio, una decisione carica di responsabilità e di energia: per una strana e sottile eterogenesi dei fini questa, che sembrava all’inizio una liberazione, ha portato con sé la creazione di nuove catene e di nuovi, ancorché misteriosi, tutori. ?.segue?