Sanremo, i trent’anni di Tethys raccontati dalla dottoressa Sabina Airoldi
Dal 1986 al 2016: il lavoro dei ricercatori per salvaguardare i mammiferi marini che vivono nel nostro mare
Sanremo. Il 31 gennaio l’Istituto Tethys compie 30 anni di attività. Nato nel 1986 a Milano, ma diventato un vero e proprio istituto di ricerca soltanto l’anno successivo, Tethys ha raggiunto, nel corso degli anni, numerosi traguardi nell’ambito della ricerca scientifica sui cetacei. A testimoniarlo sono le oltre 500 pubblicazioni prodotte in collaborazione con le più prestigiose istituzioni internazionali.
A raccontare i trentanni di Tethys è la dottoressa Sabina Airoldi, biologa marina e ricercatrice scientifica innamorata dei cetacei.
“La mia storia è un po’ la storia della creazione del Santuario Pelagos”, racconta l’Airoldi, “Io sono qui proprio per questo dal 1987”.
Tutto nasce in seguito alle primissime indagini compiute in tutti i mari italiani: ricerche iniziate trent’anni fa, appunto. “Prima del 1986”, spiega la ricercatrice, “Non si sapeva praticamente nulla dei cetacei che popolano i mari italiani. Gli unici dati disponibili erano quelli degli spiaggiamenti”.
Due anni di indagini che hanno portato alla prima grande scoperta: “Già nel 1988”, dice la biologa, “Ci siamo resi conto che la zona in assoluto a più alta concentrazione di cetacei era proprio il bacino corso-ligure-provenzale”.
Dall’eccezionale scoperta alla proposta di istituire il Santuario Pelagos il passo è breve: “Nel 1990 e nel 1991, con l’appoggio del Rotary e del Principe Ranieri di Monaco, abbiamo iniziato il percorso per arrivare ad ottenere un’area marina protetta”. La proposta per l’istituzione del Santuario Pelagos viene presentata a Bruxelles, che rende il tutto fattivo nel 1999.
Un’area di studio vastissima: 25mila chilometri quadrati, quella del Santuario Pelagos. Ma la vastità del mare aperto in cui vivono e si riproducono otto specie di mammiferi marini non spaventa la ricercatrice. Da Savona a Capo Corso fino a Saint Tropez: una sorta di triangolo monitorato costantemente, per cinque mesi all’anno (da maggio ai primi di ottobre), dal 1988 fino ai nostri giorni. “La barca di Tethys è in mare sempre, tutti i giorni”, spiega Sabina Airoldi, “Ci fermiamo solo un giorno a settimana per i rifornimenti. Per il resto siamo sempre in mare a fare monitoraggio”.
Quali le scoperte più rilevanti fatte negli anni? Risponde così la ricercatrice: “Abbiamo scoperto che la balenottera comune è una specie che non è in transito nel Mediterraneo, ma è una popolazione autoctona (ovvero specifica dell’area marina e dunque diversa da quella dell’Atlantico, nda)”.
In tutti questi anni di monitoraggio, inoltre, è stato prodotto uno dei più grandi database dell’intero Mediterraneo: una banca dati sui cetacei talmente vasta che “ha consentito di seguire l’andamento delle popolazioni delle otto diverse specie di cetacei con lo scopo di capire sia se queste siano in aumento o in diminuzione, sia per quantificare le pressioni antropiche sui mammiferi marini”. Quanto l’uomo sia colpevole, in parole semplici, della diminuzione di cetacei nel nostro mare e quanto esso influisca sulla distribuzione e sul benessere di questi animali. Importante, per i ricercatori, è anche studiare quali siano le risposte dei mammiferi ai comportamenti umani.
“Negli anni sono aumentati i capodogli”, rende noto l’Airoldi, “Mentre sono fortemente diminuiti i grampi“.
Le minacce più importanti sono costituite da inquinamento chimico e inquinamento acustico (ovvero dal rumore prodotto dall’uomo sia attraverso il traffico marittimo che dall’attività dei centri urbani sulla costa).
Proprio per quanto concerne il rumore subacqueo nel Mar Mediterraneo, gli scienziati del Centro Interdisciplinare di Bioacustica e Ricerche Ambientali (Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente) dell’Università di Pavia hanno presentato pochi giorni fa la prima mappa a livello di bacino che riflette la distribuzione e la densità delle sorgenti di rumore subacqueo nella regione.
“Dalla mappa si evince”, commenta Sabina Airoldi, “Come in una zona protetta, creata appositamente per tutelare i cetacei, in realtà abbiamo ancora questa minaccia così forte e importante costituita dal rumore”.
Il rumore è fondamentale per i cetacei, spiega la biologa: “Tutta la loro vita ruota intorno alla percezione e alla comunicazione attraverso i suoni”.
Usati per comunicare, cacciare e orientarsi, i suoni costituiscono una parte fondamentale della vita degli odontoceti: “In caso di rumori estremamente forti possono anche morire”.
Alcuni spiaggiamenti sono causati, infatti, dalla tecnica di ispezione dei fondali marini “air gun”, utilizzata per le prospezioni geosismiche: in pratica delle bombe fortissime continue, udibili per centinaia di chilometri, di aria compressa che mandano onde riflesse da cui estrarre dati sulla composizione del sottosuolo (e trovare così possibili giacimenti di gas o petrolio).
“A volte queste prospezioni geosismiche vengono fatte al limite del santuario”, dice la biologa, che svela il pericolo immenso che esse causano soprattutto negli zifi: “Sono animali molto sensibili che rimangono nelle profondità (fino a 3000 metri) per oltre due ore. Quando sentono suoni così forti si spaventano ed, essendo mammiferi, avvertito il pericolo, cercano subito di procurarsi ossigeno: essendo in acque profonde da tanto tempo, però, un’emersione rapida verso la superficie è spesso loro fatale”. Come per i subacquei che non rispettano le normali procedure e tempistiche di risalita, sopraggiunge l’embolia: “Si riempiono di microbolle di azoto e muoiono di embolia”, spiega l’Airoldi, “Ecco cosa l’uomo riesce a fare agli animali”.
Fortunatamente c’è anche chi lotta dalla parte dei cetacei: “Il ruolo di Tethys”, conclude Sabina Airoldi, “E’ quello di cercare di approfondire la conoscenza di questi animali, per capire come si muovono e quali sono le loro esigenze, con lo scopo di comprendere quali siano gli impatti antropici più minacciosi per la loro sopravvivenza”.